Polemiche relative al De antiquissima italorum sapientia/IV. Seconda risposta del Vico/II. Della divisione con la quale nella Prima proposta si partì…

II. Della divisione con la quale nella Prima proposta si partì…

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Della divisione con la quale nella Prima risposta si parti la censura

che il Giornale, nel tomo v, articolo vi, aveva dato della nostra metafisica. Riprendete la divisione, che io nella mia antecedente Risposta feci della vostra censura, e dite non altrimente esser tre le opposizioni quivi da voi fatte contra la mia metafisica, ma sol una, e propriamente quella che io fo seconda: cioè che io abbia dato piú tosto un’idea di metafisica che una metafisica perfetta (p. 224), e che la terza e la prima sieno ragioni della seconda, e non parti, che con la seconda facciano un intiero di quel giudizio. E, per piú chiaramente provare una si fatta proposizione, v’aggiugnete le seguenti ragioni: 1. perché noi v’osserviamo cose non poche troppo brevemente accennate, le quali e’ converria trattare alquanto piú diffusamente; 2. perché vi sono cose alquanto oscure, che vorrebbon piú chiaramente esporsi: 3. perché sembra esservi cose puramente proposte, che, per altro, essendo o mal note a’ suoi leggitori o disputate intra’ filosofi, sembran richiedere qualche sorta di prova; 4. (il che però noi protestiamo non essere una ragione distinta da quella che s’è addotta in terzo luogo, ma una come appendice della medesima) perché non a tutti è noto che gli accennati latini vocaboli, principal e unico fondamento della metafisica del signor di Vico, abbiano quel significato che loro attribuisce. Primieramente, potrei scusare la cortezza della mia mente, che. quando io era tutto ad altro inteso, avessi, contra le regole della buona divisione, fatto entrare il tutto, che si divide, nelle parti che lo dividono; potrei scusar, dico, questa mia cortezza di mente con la vostra comprensione: e pure voi, nel tempo istesso che di ciò mi riprendete, fate il ripartimento delle cose, che voi prima nella censura diceste «bisognose di pruova», in [p. 250 modifica]

«brievi», in «oscure» e «proposte semplicemente e non pruovate», che è tanto dire quanto «bisognose di pruova», sotto le quali comprendete le disputate ancor tra’ filosofi, e, oltre a queste, l’origini. Ma io ingenuamente confesso che dopo la vostra Replica , nella quale siete discesi a’ particolari, e, come giudico, a tutti quelli che giudicavate proporzionati ad oppormi, confesso, dico, che la mia divisione è viziosa. Ma innanzi, perché le vostre opposizioni erano generali, io non poteva indovinare che quella voce «idea» volesse significare abbozzo mancante di ultima mano nelle origini delle voci e nelle pruove delle cose propostevi ; e non piú tosto, perché in quel libro non si fussero trattate tutte le quistioni che si sogliono trattare in metafisica (come invero non vi sono trattate, ma le sole principali, onde l’altre son corollari che si lasciano raccórre a’ dotti di queste cose), entrasse in ciò la contesa: quali cose debbano essere in metafisica principalmente trattate. Onde parvemi cosi ben partitamente parlare, come un che dicesse: — Questa fabbrica manca nelle fondamenta, e, perché non vi sono alzate tutte le parti che la compiscono, sembra piú tosto una pianta o disegno che un edificio compito, ed in molte delle parti giá alzate manca de’ finimenti. — Per tal cagione adunque divisi, come ho fatto, quella Risposta-, e in secondo luogo mi diedi a delineare un’idea di una metafisica, nelle sue parti principali e necessarie compita, sulla quale fusse lavorata la nostra. Ma, poiché ora voi avete determinato la vaghezza di quella voce «idea», io volentieri con voi convengo del vizio della nostra divisione. Però, a cotesta vostra spiegazione, io sono posto in obbligo rendervi ragione della «brevitá», dell’«oscuritá» e delle «cose che qui solamente s’accennano e sono ancora tra’ filosofi contrastate». D’intorno alla brevitá, dico ch’ella qui, anzi che vizio, è virtú. Imperocché qui non si tratta fisica, nella quale bisogna una copiosa ed esatta istoria delle cose naturali, un grande apparecchio di meccanica, e vi si dee andare con la ragione [p. 251 modifica]

tentando mille spericnze: non si tratta geometria, dove bisogna una copia di nomi diftiniti, di massime incontrastate, di postulati discreti, e camminarvi dritto e senza salti per istretta e lunga via di dimostrazioni. Si tratta metafisica, nella quale l’uomo ha da conoscere e spiegare la sua mente, purissima e semplicissima cosa. Talché a questo proposito cade molto in acconcio quello che si osserva tuttodí, far molto piú profitto nelle cose dello spirito cristiano le meditazioni che brievemente propongono pochi punti, per li quali l’uomo entri in se stesso a purgarsi l’anima, che le prediche piú eloquenti e piú spiegate di facondissimi predicatori. Per lo che parmi che Renato sapientemente Meditazioni avesse questi studi intitolato, ove le principali cose tratta con tanta brevitá, che la sua metafisica si chiude entro poche pagine; e pure egli, come ora voi opponete a me, scrisse «con nuovi principi e nuovo metodo cose la maggior parte non piú udite». Onde il consiglio di Quintiliano non sembra fare a vostn > prò, «che piú conduca talora il dir soverchio con tedio che tacere con pericolo il necessario»: perché ragiona ivi di narrazione de’ fatti a’giudici, che sono ignoranti de’ fatti; ma, ove si è proposto ragionare con intendenti, bassi a osservare quello: «sapienti verbum sat est». Dall’«oscuritá», poiché nasce dal non diflínire i nomi, io me ne purgherò dove me l’opporrete. Le «cose», finalmente, «che qui semplicemente s’accennano e sono ancor tra’ filosofi contrastate*, da me si lasciano ad esso loro a determinarsi: perché mio proposito fu mandar fuori un libricciuolo tutto pieno di cose proprie, e sarei ben contento di aver pruovato le mie. Siane di ciò un esempio. L’«ingegno» da’ latini fu ancor detto «memoria»: n’è bello il luogo nell’. Indi iana ’ l \ ove Davo, che vuol concertare con Miside una gran furberia, le dice: Mysis, nunc opus est tua tnihi ad hanc rem exprompta memoria atquc astutia. (il IV, 3 [vv. 722 - 3 ][p. 252 modifica]

Quello, che noi diciamo «immaginare», «immaginazione», pur da’ latini dicevasi «memorare» e «memoria»; onde «comminisci» e «commentimi» significano «ritrovare» e «ritrovato» o «invenzione», per quello, pur degno da notarsi, altro luogo ne\V Andrtana <*>, dove Carino, querelandosi della creduta malignitá e perfidia di Panfilo, dice: Hoccin’ est credibile, aut memorabile, tanta vecordia innata cuiquam ut siet, ut malis gaudeant, ecc. E pure l’ingegno è il ritrovatore di cose nuove, e la fantasia o la forza d’immaginare è la madre delle poetiche invenzioni: lo che non avvertendo i grammatici, dicono molte cose poco vere d’intorno alla Memoria, dea de’ poeti, alla quale essi ricorrono ne’ loro maggiori bisogni, e, con l’implorare l’aiuto di quella, danno ad intendere al volgo succedute le cose che narrano; ma in veritá essi l’implorano per ritrovar cose nuove. Ciò bastami per ritrarre che queste voci furono usate in cotal saggio sentimento dagli antichi filosofi italiani: ch’essi opinassero noi non aver cognizione alcuna, che non ci venga da Dio. Che poi ciò si faccia per via de’ sensi, come volle Aristotile ed Epicuro; o che l’imparare non sia altro che ricordarsi, come piacque falsamente a Socrate od a Platone; o che l’idee in noi sieno innate o congenerate, come medita Renato; o che Iddio tuttavia le ci crei, come la discorre Malebrance, nel quale volentieri inclinerei: lo lascio irresoluto, perché non volli trattare in quel libricciuolo cose di altrui.