Poesie (Savonarola)/III.
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III.
DE RUINA MUNDI.
1472.
Se non che pur è vero e così credo,
Rettor del mondo, che infinita sia
Toa providenzia; nè già mai potria
Creder contra, perchè ab experto el vedo;
Talor serìa via più che neve fredo,
Vedendo sotto sopra volto el mondo,
Et esser spenta al fondo
Ogne virtute et ogne bel costume.
Non trovo un vivo lume,
Nè pur chi de’ soi vizii se vergogni:
Chi te nega, chi dice che tu sogni.
Ma credo che ritardi, o Re superno,
A magior pena de’ soi gran defetti;
On pur ch’è forsi appresso, e tu l’aspetti,
L’estremo dì che fa tremar l’inferno.
A noi virtù non tornarà in eterno.
Quivi se estima chi è de Dio nemico.
Catone va mendico;
Ne le man di pirata è gionto il scetro:
A terra va San Pietro;
Quivi lussuria et ogne preda abunda:
Che non so come il ciel non si confunda.
Non vedi tu il satirico Mattone1
Quanto è superbo, et è di vizii un fiume?
Che di gran sdegno il cor mi se consume.
Deh! mira quel cinedo e quel lenone
Di porpora vestito, un istrione
Che ’l vulgo segue e il cieco mondo adora!
Non ti ven sdegno ancora,
Che quel lussurioso porco gode,
E le toe alte lode
Usurpa, assentatori e parasciti;
E i toi di terra in terra son banditi?
Felice or mai chi vive di rapina,
E chi de l’altrui sangue più se pasce,
Chi vedoe spoglia e soi pupilli in fasce,
E chi di povri corre a la ruina!
Quella anima è gentil e peregrina,
Che per fraude o per forza fa più acquisto;
Chi spreza il ciel cum Cristo,
E sempre pensa altrui cacciar al fondo:
Colui onora el mondo,
Che ha pien di latrocinii libri e carte,
E chi d’ogne mal far sa meglio l’arte.
La terra è sì oppressa da ogne vizio,
Che mai da sè non levarà la soma:
A terra se ne va il suo capo, Roma,
Per mai più non tornar al grande offizio.
O quanta doglia hai Bruto e tu Fabrizio,
Se hai intesa questa altra gran ruina!
Non basta Catilina,
Non Silla, Mario, Cesaro o Nerone:
Ma quivi omini e done,
Ogn’om si sforza dargli qualche guasto.
Passato è il tempo pio e il tempo casto.
Virtù mendica, mai non alzi l’ale:
Grida il vulgo e la cieca2 giente ria.
L’usura si chiama or filosofia;
Al far bene ogn’om volta pur le spale:
Non è chi vada or mai per dritto cale.
Tal che ’l valor se agiaza che me avanzia:
Se non che, una speranzia
Pur al tutto nol lassa far partita,
Ch’io sciò che in l’altra vita
Ben si vedrà qual alma fo gentile;
E chi alziò l’ale a più legiadro stile.
Canzion, fa che sia acorta,
Che a purpureo color tu non te apoggie;
Fugi palazi e logie,
E fa che toa ragion a pochi dica:
Chè a tuto el mondo tu serai nemica.
Explicit.
- ↑ [p. 91 modifica]Seguiamo l’Audin nel porre la iniziale maiuscola alla voce Mattone; ma confessiamo di non andarne persuasi. Nell’Ercolano del Varchi si legge: “D’uno che dica male d’un altro, quando colui non è presente, s’usano questi verbi: cardare, scardassare, tratti da’ cardatori e dagli scardassieri; lavargli il capo, da’ barbieri;... così, dargli il cardo, il mattone, e la suzzacchera, massimamente quando se gli nuoce„. E il Cecchi nella Dichiarazione de’ proverbi spiega che cosa fosse questo dare il mattone. Seguendo una tale etimologia, mattone potrebbe equivalere a mordace, maldicente e simili: potrebbe, ma non ce ne siamo così risoluti, da pigliare a dirittura questo partito.
- ↑ * L’autografo, ciecca; e qualche altra volta.