Poesie (Parini)/IV. Le odi/XVIII. Il messaggio
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XVIII
IL MESSAGGIO
(Per l’inclita Nice)
[1793]
Quando novelle a chiedere
manda l’inclita Nice
del piè che me costringere
suole al letto infelice,
5sento repente l’intimo
petto agitarsi del bel nome al suon.
Rapido il sangue fluttua
ne le mie vene: invade
acre calor le trepide
10fibre: m’arrosso: cade
la voce; ed al rispondere
viti 1 pensiero in van cerco e sermon.
Ride, cred’io, partendosi
il messo. E allor soletto
15tutta vegg’io, con l’animo
pien di novo diletto,
tutta di lei la immagine
dentro a la calda fantasia venir.
Ed ecco ed ecco sorgere
20le delicate forme
sovra il bel fianco; e mobili
scender con lucid’orme
che mal può la dovizia
dell’ondeggiante al piè veste coprir.
25Ecco spiegarsi e l’omero
e le braccia orgogliose,
cui di rugiada nudrono
freschi ligustri e rose,
e il bruno sottilissimo
30crine che sovra lor volando va:
e quasi molle cumulo
crescer di neve alpina
la man che ne le floride
dita lieve declina,
35cara de’ baci invidia
che riverenza contener poi sa.
Ben puoi tu, novo illepido
sceso tra noi costume,
che vano ami dell’avide
40luci render l’acume,
altre involar delizie,
immenso intorno a lor volgendo vel
ma non celar la grazia,
né il vezzo che circonda
45il volto, affatto simile
a quel de la gioconda
Ebe, che nobil premio
al magnanimo Alcide è data in ciel;
né il guardo, che dissimula
50quanto in altrui prevale;
e vólto poi con súbito
impeto i cori assale,
qual parto sagittario
che piú certi fuggendo i colpi ottien
55né i labbri, or dolce tumidi,
or dolce in sé ristretti,
a cui gelosi temono
gli Amori pargoletti
non omai tutto a suggere
60doni Venere madre il suo bel sen:
i labbri onde il sorridere
gratissimo balena,
onde l’eletto e nitido
parlar, che l’alme affrena,
65cade, come di limpide
acque lungo il pendio lene rumor;
seco portando e i fulgidi
sensi ora lieti, or gravi,
e i geniali studii,
70e i costumi soavi,
onde salir può nobile
chi ben d’ampia fortuna usa il favor
Ah! la vivace immagine
tanto pareggia il vero,
75che, del piò leso immemore,
l’opra del mio pensiero
seguir giá tento; e l’aria
con la delusa man cercando vo.
Sciocco vulgo, a che mormori,
80a che su per le infeste
dita ridendo noveri
quante volte il celeste
a visitare ariete
dopo il natal mio di Febo tornò?
85A me disse il mio genio
allor ch’io nacqui: — L’oro
non fia che te solleciti,
né l’inane decoro
de’ titoli, né il perfido
90desio di superare altri in poter:
Ma di natura i liberi
doni ed affetti, e il grato
de la beltá spettacolo
te renderan beato,
95te di vagare indocile
per lungo di speranze arduo sentier.
Inclita Nice: il secolo,
che di te s’orna e splende,
arde giá gli assi: l’ultimo
100lustro giá tocca, e scende
ad incontrar le tenebre,
onde una volta giovanetto usci.
E giá vicine a i limiti
del tempo, i piedi e l’ali
105provan tra lor le vergini
Ore, che a noi mortali
giá di guidar sospirano
del secol, che matura, il primo di.
Ei te vedrá nel nascere
110fresca e leggiadra ancora
pur di recenti grazie
gareggiar con l’aurora;
e, di mirarti cupido,
de’ tuoi begli anni fará lento il voi.
115Ma io, forse giá polvere
che senso altro non serba
fuor che di te, giacendomi
fra le pie zolle e l’erba,
attenderò chi dicami:
120— Vale, — passando, — e ti sia lieve il suol.
Deh! alcun che te nell’aureo
cocchio trascorrer veggia,
su la via che fra gli alberi
suburbana verdeggia,
125faccia a me intorno l’aere
modulato del tuo nome volar.
Colpito allor da brivido
religioso il core,
fermerá il passo, e attonito
130udrá del tuo cantore
le commosse reliquie
sotto la terra argute sibilar.