Poesie (Foscolo)/Avvertenza
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AVVERTENZA.
Aspettato giunge finalmente questo volume delle Poesie d’Ugo Foscolo, aspettato da lungo tempo. L’indugio deve attribuirsi sopra a tutto alle moltiplici difficoltà che abbiamo dovuto superare prima di poter essere certi di avere esaurito ogni mezzo a noi conceduto per raccogliere tutte le produzioni poetiche Foscoliane tanto edite che inedite, o intiere o in frammenti; prima che, a stabilirne la più sincera lezione, potessimo aver decifrato gli ardui manoscritti dell’Autore, e fra le varianti di cui questo incontentabile ingegno lasciò esuberanza più che dovizia (impaccio talora anziehè guida), eletto quella che ne fosse sembrata la migliore. Pure oggimai lo diamo in luce; ed ora fa d’uopo che spendiamo alcune parole intorno ai varj componimenti in esso raccolti, ed all’ordine con cui gli abbiamo distribuiti.
Il libro è diviso in due principalissime parti, Poesie originali e Traduzioni. La prima contiene Poesie degli anni maturi complete, Frammenti, Poesie giovenili; la seconda Versioni complete, Frammenti.
Vengono anzi tutto le Tragedie, delle quali prima il Tieste. Nè questa abbiamo voluto relegare fra le giovenili, perchè quantunque il Poeta la dettasse giovinetto, ed in essa poi ravvisasse parecchi difetti di economia drammatica, di azione, di convenienza relativa ad alcuno dei Personaggi e di stile, tuttavia, attestandoci l’amicissimo suo Ugo Brunetti (Vedi Epistolario Foscoliano, vol. I, p. 185), che egli trentenne non solo permise che fosse nuovamente recitata, ma anche non isdegnò di ritoccarla in alcuni luoghi, abbiamo stimato sufficiente ragione questa per accorla fra i suoi figli se non prediletti, almeno non rifiutati. E veramente crediamo che a chi vorrà far paragone fra il Tieste di Seneca, quello del Crebillon e quello del Voltaire con questo di un autore imberbe, non sempre parrà che l’ultimo sia agli altri inferiore.
L’Ajace è tragedia di ben altro pregio, e mostra la poetica maturità di chi la scrisse. Potrà avere alcuna di quelle colpe attribuitele dal Lampredi malevolo, e dal Carrer benevolo censore del Foscolo, ma è pur vero che ha ancora grandi virtù. E per quanto il suo argomento si riferisca ai tempi iliaci (per lo che principalmente sembra che spiacesse al Carrer), nondimeno siamo d’avviso che la scelta di esso non possa ba stare a render freddi i lettori o gli spettatori. E ciò tanto più fermamente crediamo, in quanto che anche non ammettendo per vero rigorosamente ciò che i nemici d’Ugo insufflarono allora al vicerè Eugenio, che egli in Agamennone, Ajace ed Ulisse avesse voluto dipingere Napoleone, Moreau e Fouché, per la qual cosa la tragedia fu proibita; pure a chi la legge attentamente appar manifesto che in essa il Poeta principalmente mirò a descrivere la lotta del diritto e dell’amor patrio armati della ingenita loro magnamità contro la forza e il potere assoluto ajutati dall’inganno. Siffatti argomenti, viva Dio! pareva al Foscolo che abbiano il bel privilegio di non invecchiare giammai; e non sembra che dopo di lui sieno venute in campo ragioni da far sì che il mondo opini diversamente. — Intorno ai pregi o ai difetti dell’Ajace come opera drammatica non è ufficio nostro il dissertare; ad ogni modo non vogliamo tacere che, non essendo esso stato posto più sulle scene dal 18I3 in poi, ed anche allora con infausti auspicj, pei motivi narrati dall’Autore nell’Epistolario, ci sembra stolta ingiustizia che, senza nuovi esperimenti, sia stato ognora dimenticato nei repertorj dei nostri Capi-comici, che pur sono si diligenti raccoglitori
Di mal digeste galliche farsacce.
Ma lasciando di ciò, diremo come per guida di questa nostra edizione della detta tragedia abbiamo avuto il vantaggio di giovarci di una copia manoscritta non autografa, ma con correzioni di pugno del Foscolo, onde ci è stato cortese il signor cavaliere Fortunato Prandi che l’ebbe in dono dall’Autore, ed a cui ci è a grato riferire i più sinceri ringraziamenti.
Quanto abbiamo più sopra detto relativamente all’Ajace conviene fors’anche meglio alla Ricciarda, tragedia il cui subietto è desunto dalle storie italiane del medio evo, e che, ad onta di qualche menda, brilla di grandi bellezze drammatiche, e di alti e gravissimi documenti contro le infami intestine discordie. La nostra edizione è stata regolata su quella originale fatta in Londra nel 1820.
Alle tre Tragedie tengono dietro le Poesie liriche e satiriche, cioè dodici Sonetti quasi tutti erotici, già ammirati da lungo tempo in Italia, le due Odi a Luigia Pallavicini ed all’ Amica risanata, cosi famose per greco sapore ed eleganza, un’Epistola a Vincenzo Monti, un Sermone, un breve componimento epigrammatico intitolato Strambotto, che noi stessi prima pubblicammo nelle note alle Grazie, il Carme de’ Sepolcri, due Epigrammi, il secondo de’quali inedito, un giovenalesco Capitolo in terza rima intitolato il Giornalista, due ultimi Sonetti sul proprio ritratto, il Carme Le Grazie, e finalmente una Lettera giocosa in terzine che ora si pubblica per la prima volta, e che sembra dettata improvvisando. Tutti questi componimenti, ci siamo studiati di disporli con ordine se non rigorosamente cronologico, almeno tale che vi si accostasse.
Sul conto peraltro delle Grazie, paghi di ristampare l’Avvertenza premessa alla prima edizione di quell’insigne e prediletto lavoro, come quella che ci parve sufficiente a dare la storia del suo ritrovamento e della sua ricostruzione, ci siamo riserbati qui di dichiarare, che in questa nostra ristampa, circa a più d’un luogo, specialmente dell’Inno terzo, abbiamo creduto nostro dovere di accogliere delle varianti che o ci sfuggirono o non furono da noi sapute abbastanza pregiare la prima volta, ma che ora con più riposato consiglio stimiamo aggiungere non poco alla eccellenza del Poema.
Vengono poi i Frammenti di Poesie originali, cioè uno dell’Alceo, e parecchi altri di quei Sermoni che il Carrer a buon dritto si duoleva fossero incompleti, poiché, se in tali propositi è lecito argomentare per induzione, dal poco che ne abbiamo possiamo dedurre che Ugo ne avrebbe scritti con eleganza pari a quella del Gozzi, e con più alto intento e maggior vigore.
Relativamente alle Poesie giovenili siamo stati severi, e ce ne pregiamo: non abbiamo voluto accoglierne più di quattro, cioè il Sonetto in morte del Padre, una Elegia intitolata le Rimembranze, gli Sciolti al Sole, preconizzatori in più tratti di quelli de’ Sepolcri e delle Grazie, e l’Oda famosa al Bonaparte liberatore. È noto che il Foscolo, ristampando questa l’ultima volta nel 1800, non la ritoccò come avrebbe potuto e come dall’arte sarebbe stato consigliato di fare, sdegnando di ripeter lodi a colui del quale oggimai diffidava, ma la ripubblicò per avere occasione di accompagnarla a quella solenne epistola che vi premise, e che noi pure riproduciamo.
Qui terminano le Poesie originali da noi rinvenute e stimate degne di apparire in questa nostra collezione. Non ci è passata inavvertita la Canzone satirica intitolata il Ballo, della quale parlano il Pecchio ed il Carrer; ma con tutto che anche a noi sembri produzione piena di spiriti foscoliani, e nel suo genere bella assai, l’abbiamo, per quanto è in noi, condannata all’oblio; perchè, siccome in essa vien fatto bersaglio di acerbe punture tale che apparteneva ad una famiglia il cui nome in questi ultimi anni è divenuto viepiù onorato e sacro all’Italia, stimiamo di consultare alle intenzioni del Poeta cittadino, sacrificando ai meriti e alle sventure de’ presenti il biasimo degli errori de’ trapassati.
Resta che favelliamo delle Traduzioni. Quella dell’Epistola di Catullo ad Ortalo, quella della Elegia sulla chioma di Berenice, di tre Epigrammi di Callimaco, di uno del Pontano, d’un’Ode di Anacreonte, d’una di Saffo, d’uno Scherzo del Meli e d’un frammento di Lucrezio, sono versioni o imitazioni già abbastanza note, eccetto l’ultima che è pubblicata ora per la prima volta. Quindi, senza più, vanghiamo a toccare brevemente della versione d’Omero.
Ci gode l’animo di poter dare all’Italia circa un terzo della traduzione foscoliana dell’Iliade, vale a dire i tre primi libri interi, il quarto, il quinto e il sesto con poche lacune, e del settimo quanto esporremo meglio più sotto. Abbiamo riputato pregio dell’opera premettere a questo rilevante saggio una bella lettera didascalica dell’Autore al Fabro, intitolata — D’Omero, del vero modo di tradurlo e di poetare, la quale sembra che egli avesse dettato perchè servisse come di prefazione al volgarizzamento del libro secondo, ma che pei generici precetti i quali contiene, può opportunamente servire di avvertenza generale; e questa è inedita. Ad essa abbiamo fatto succedere il noto scritto intitolato — Considerazioni sulla traduzione del cenno di Giove. Del primo libro abbiamo adottato la seconda versione già stampata nell’Antologia, omettendo la prima come rifiutata dall’Autore. Quella del libro secondo, preceduta da una preziosa dissertazioncella sul Catalogo delle navi, è affatto inedita; e tanto la prosa quanto i versi, nonchè la sovraccennata lettera al Fabro, sono stati rapiti al caos dei manoscritti labronici dalle solerti cure e dalle fatiche del nostro caro ed egregio amico signor Enrico Mayer. La traduzione del terzo libro non è già quella che fu pubblicata nell’Antologia, ma un’altra rifatta su quella, e che ricopiata di mano del signor Golla, ultimo amanuense del Foscolo, con non poche correzioni dell’Autore, da questo era stata destinata in dono a qualche suo amico d’Italia, forse al marchese Gino Capponi. Egualmente molti squarci dei tre libri seguenti sono stati da noi stampati sulle copie del Golla, ed altre sugli stessi autografi, dai quali è stato raccolto tutto ciò che diamo del settimo libro. Nè già questo è tutto quello che di tal libro rimane: anzi e di esso e di alcuni de’ seguenti, crediamo che esista la traduzione se non per l’intiero, almeno per buona parte, ma crediamo altresi che a trarnela degnamente occorra la pazienza e l’opera di qualche anno. Quindi noi, incalzati dal dovere di non differire più a lungo la presente pubblicazione, essendoci per avventura abbattuti a trovare nel libro settimo la versione di quello squarcio in cui Omero descrive i funerali de’ Greci e de’ Trojani ricopiata dal Foscolo con insolita cura e nitidezza calligrafica, siamo stati indotti dal cuore ad ivi arrestarci; e quasi ci è parso che lo spirito d’Ugo ci ammonisse di cogliere questo novello punto di coerenza nella vita letteraria di lui, affinchè quel Poeta, che aveva cominciato a levar gran fama di sè col carme de’ Sepolcri, terminasse con versi mestissimi rappresentanti il pietoso spettacolo, dipinto già dal maggior figlio della materna sua terra, di due genti nemiche, le quali, sospesi gli odj, si mescolano inermi per pagare gli estremi ufficj ai loro morti.
E noi non potremmo terminare altrimenti queste povere nostre parole in tal giorno
- 25 Febbraio 1856.
F. S. Orlandini.