Poesie (Fantoni)/Varie/XII. Alla lucciola entrata in un giardino

XII. Alla lucciola entrata in un giardino

../XI. Scherzo ../XIII. All'abate Giulio Cordara IncludiIntestazione 26 giugno 2020 75% Da definire

XII. Alla lucciola entrata in un giardino
Varie - XI. Scherzo Varie - XIII. All'abate Giulio Cordara
[p. 403 modifica]

XII

Alla lucciola entrata in un giardino


     Forosetta
luccioletta,
perché fuggi dai piú foschi
verdi boschi?
5Piú la cura tu non sei
dei caprigni semidei?

     Chiari rivi,
che lascivi
van frangendo onde d’argento,
10lieto vento,
che accompagni il suon del rio,
piú non frenan tuo desio?

     La compagna,
che si lagna
15che tu l’abbia giá tradita,
che schernita
vuol vendetta, alla foresta,
dispettosa, non t’arresta?

     Da incostante
20ninfa amante,
ch’altro insetto t’ha rapita,
sei fuggita;
e, fuggendo, l’empio fato
nel giardino t’ha guidato.

     25Tra le frondi
ti nascondi,
che, ronzando su le piume,
col tuo lume
vai scoprendo gli amorosi
30entro l’ombre furti ascosi.

[p. 404 modifica]


     Quella rosa
timorosa,
che fa il dí la verginella,
or appella
un lascivo Zeffiretto,
che le dorme su del petto.

     Quell’erbetta
morbidetta,
che il dí celibe riposa
mezz’ascosa,
apre il seno, acciò vi cada,
a impregnarla, la rugiada.

     Le cadenti
acque algenti
entro fonte prigioniere,
dal piacere
son divise in mille e mille
lucidette argentee stille.

     Del sol figlia,
la giunchiglia
chiede ignuda chi la copra,
e s’adopra
a scaldarla tiepidetta
co’ suoi baci amica auretta.

     D’odorosi
cedri ombrosi
tra le fronde in dolce nido,
gode il fido
usignol la sua diletta,
che lo morde lascivetta,

     E tu vuoi,
sui vanni tuoi,
gir turbando dei piaceri
i misteri?
Omai fuggi dal giardino:
nessun fior ti vuol vicino.

[p. 405 modifica]


     Quella face,
che si piace
alla selva abbandonata,
è sdegnata
da quei fior, di cui Pomona
ne fa al seno e al crin corona.

     Spesso i pregi
dei dispregi
a comprarci sono usati,
non bramati;
cosi avviene a te, che cura
fosti un dí della natura.

     A ferire
del desire
giá la meta era vicino;
ma il destino
fe’ che a Fille un dí cantore
io spiegassi il vivo ardore.

     Di mendace,
di loquace
presso d’essa ottenni il nome:
aimè! come
le speranze in un momento
dei mortail disperde il vento.

     Io d’allora
studio ognora
la natura e non le carte:
la vana arte,
madre ognor di pentimento,
quanto ahi cede al sentimento!

     Al natio
possa anch’io
come te tornare un giorno
tuo soggiorno,
e felice in sen d’amore
obliare ogni altro fiore!