Poesie (Fantoni)/Odi/Libro II/XIII. Dialogo: Labindo e Licoride
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XIII
Dialogo
(Labindo e Licoride)
(1782)
LABINDO
Crudel Licoride, tentasti frangere
la fé giuratami! Spezzato ho il laccio:
da te son libero, cessai di piangere,
vivo d’un’altra in braccio.
LICORIDE
5Quai colpe immagini? Senza consiglio,
da me diviseti gelosa furia;
piansi, ma tersemi le luci un figlio
della vicina Etruria.
LABINDO
Mio fuoco è Doride bella, dall’umido
10labbro di minio, bionda le ciglia,
d’occhi cerulei, dal sen che tumido
denso latte somiglia.
LICORIDE
Mia cura è Licida, garzon fortissimo,
che Alcide in valide membra pareggia,
15a cui la guancia di pel biondissimo
il quarto lustro ombreggia.
LABINDO
Dori solletica la cetra instabile,
e i baci nascono, sorride Venere:
amar la voglio finché implacabile
20morte mi renda in cenere.
LICORIDE
Licida intreccia danze, e m’invidiano
spose, ne temono garzoni amabili:
per lui soccombere vuo’ se l’insidiano
le Parche insaziabili.
LABINDO
25Ma se, stringendoci indissolubile
amor, cangiassemi pensiero o voglia?
LICORIDE
Fia tua quest’anima, benché volubile
sii piú d’aRida foglia.
LABINDO
Dunque... Ah! pria Licida da te discaccia.
LICORIDE
30Sì! Ma dimentica la bionda Doride.
LABINDO
Io la dimentico fra le tue braccia.
LICORIDE
Ah! Labindo...
LABINDO
Ah! Licoride.