Poesie (Fantoni)/Odi/Libro II/L. A Lazzaro Brunetti

L. A Lazzaro Brunetti

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L

A Lazzaro Brunetti

(1806)

     Fuggîr gli aurei, fuggirono
giorni di pace. Alla social giustizia
l’impero omai rapirono
congiurate la forza e la malizia.

     5Ahi, che alla patria e ai numi
tu chiedi, amico, quell’etade indarno:
figlia d’altri costumi,
vive schiatta avvilita al Tebro e all’Arno.

     A male oprar l’adescano
10nuovi bisogni, che natura insultano;
in lung’ozio s’invescano
molti gl’ingegni e al vero ben si occultano.

     Non piú alla plebe in guerra
è dolce la fatica, util la fede,
15né ai duci è poca terra
or di gloria e di sangue ampia mercede.

     Non piú libere dettano
itale leggi della Grecia i savi,
ché ogni costume infettano
20dell’Adria i Mevi e dell’Insubria i Bavi.

     Spargono di viltade
precetti, onde giammai virtú si desti,
e la presente etade
dei Fabi e dei Scipion l’ossa calpesti.

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     25Non più alle genti oracolo
Flora si cinge dell’antico orgoglio,
né, perduto spettacolo,
mira i re strascinati in Campidoglio.

     Soltanto intorno all’urne
30di Furio e Mario, dai stranier temuti,
s’aggirano notturne
le non bene invocate ombre dei Bruti.

     O tu, che osasti rompere
tanta speranza, con esempio orribile
35tutto potrai corrompere,
fuorché il sordo rimorso incorruttibile.

     Tizio novello, in petto,
a lacerarti il cor, sempre l’avrai:
teco fia a mensa, in letto,
40alla tenda, alla pugna e ovunque andrai.

     Di meritato scempio
ministra, pende dei littori in faccia
su la cervice all’empio
di Damocle la spada e lo minaccia.

     45Tempi infelici! in cui
vano è sperar salute all’uomo infermo;
ché sol nei vizi altrui
cerca chi regge e medicina e schermo.

     Come sperar di sorgere
50dal fango impuro del rinato vizio?
Chi ci oserá di porgere
nel troncato sentier lume propizio?

     Di lucro vil ti rode,
misera umanitá, scabie funesta;
55scherno di nuova frode,
te rapace ambizion preme e molesta.

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     Te in mar, te in terra, cupida
dell’oro allo splendor gli audaci guidano,
te, serva incerta e stupida,
60per tradirti e regnare a morte sfidano.

     Forse, dai mali oppressa,
de’ tuoi piú fidi contemplando il rogo
e abborrendo te stessa,
disperata oserai scuotere il giogo.

     65Forse nel tuo periglio
Focioni avrai che ti trarran d’impaccio:
forse potrá il consiglio
di un Demostene nuovo armarti il braccio.

     Ma quale avran fortezza
70destre avvilite da perpetui ferri?
Quale sperar salvezza
da schiavi e figli di Crispini e Verri?

     Nunzia straniera, io veggio
Discordia aizzar la popolar miseria,
75e consigliata al peggio
nel civil sangue patteggiar l’Esperia.

     Delle cittá possenti
si difendon le torri, urtan le porte,
e dalle vie frementi
80nelle case de’ vinti entra la morte.

     D’oro e di colpe gravidi,
cercano i ricchi invan fuga o ricovero;
segue la pena gli avidi
e fra i sparsi tesor si asside il povero.

     85Tutto è rapina, tutto
di vendetta e di stragi oggetto infame:
fra le ruine e il lutto,
su le membra insepolte, erra la fame.

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     Oh, qual destino apprestano
90sete d’oro e di regno all’uman genere
Quali sciagure destano
sul tradito da pochi orbe degenere!

     So che a parlar sincero
si accorcia il saggio della Parca il filo;
95ma all’amico del vero
la morte è sonno ed il sepolcro asilo.