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libro secondo | 169 |
Te in mar, te in terra, cupida
dell’oro allo splendor gli audaci guidano,
te, serva incerta e stupida,
60per tradirti e regnare a morte sfidano.
Forse, dai mali oppressa,
de’ tuoi piú fidi contemplando il rogo
e abborrendo te stessa,
disperata oserai scuotere il giogo.
65Forse nel tuo periglio
Focioni avrai che ti trarran d’impaccio:
forse potrá il consiglio
di un Demostene nuovo armarti il braccio.
Ma quale avran fortezza
70destre avvilite da perpetui ferri?
Quale sperar salvezza
da schiavi e figli di Crispini e Verri?
Nunzia straniera, io veggio
Discordia aizzar la popolar miseria,
75e consigliata al peggio
nel civil sangue patteggiar l’Esperia.
Delle cittá possenti
si difendon le torri, urtan le porte,
e dalle vie frementi
80nelle case de’ vinti entra la morte.
D’oro e di colpe gravidi,
cercano i ricchi invan fuga o ricovero;
segue la pena gli avidi
e fra i sparsi tesor si asside il povero.
85Tutto è rapina, tutto
di vendetta e di stragi oggetto infame:
fra le ruine e il lutto,
su le membra insepolte, erra la fame.