Poesie (Fantoni)/Idilli/XII. I fuochi fatui
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XII
I fuochi fatui
1
Alla valle del pianto, al freddo sasso,
in cui Dafni, di Mirso il figlio, giace,
la mesta Elmira rivolgeva il passo
d’estiva notte nell’amica pace;
e giá scendeva dove il varco chiude,
lambendo il colle, la fatal palude.
2
Giunchi, fangose felci ed infeconde
tremole canne, il cui sonante fiotto
imita il roco mormorar dell’onde,
vietano il calle; e mal sicuro e rotto
offre un tronco il passaggio, e all’alta proda
ad un salcio s’appoggia e vi s’annoda.
3
Elmira, incerta, in ogni parte guata
se può varcar dove il suo ben riposa;
ma, veggendo ogni dove a lei negata
men diffícile via, s’avanza ed osa:
Amor la guida e, con turbata fronte,
ascende seco il periglioso ponte.
4
Cede, sdegnoso, al peso e curvo scende
stridendo, trema e di cader minaccia.
Smarrita, Elmira i passi allunga e stende
con moto egual le timidette braccia,
pende sul legno, e lo misura appena,
ché va d’un salto a ritrovar l’arena.
5
Ma tardo il raggio dell’argentea luce
fra le canne foltissime penètra,
e la dubbiosa Elmira alfin conduce
del caro amante alla negata pietra;
ivi si asside e del destin si lagna,
bacia il sasso e di lacrime lo bagna.
6
Mentre ella piange e chiama Dafni a nome,
dal chiuso avello si sprigiona e stride
pallida fiamma e, le dorate chiome
rispettando, or lambisce ed or divide,
or la fugge, or la cerca, ed or ritorno
fa su la tomba e le si aggira intorno.
7
— Alma dell’idol mio, t’arresta! — Elmira
grida — né gir da chi t’adora lungi. —
Ma piú corre e raggiungerla sospira,
piú l’altra affretta il vol, men la raggiunge;
finché la fiamma alfin, scorta la sponda,
pria si specchiò, poi si celò nell’onda.
8
— Dafni crudel, perché ti ascondi? — disse
la mesta ninfa, sospirando, allora —
sempre le luci su quest’acqua fisse
avrò, finché tu non ritorni fuora;
vieni al mio sen, mal ti convien quel loco,
ché non può l’onda dar albergo al fuoco.
9
Fra le mie braccia avrai miglior ricetto;
se mi ami ancor qual tu mi amasti in vita,
se d’oblio non hai sparso il primo affetto,
porgi orecchio e conforto a chi t’invita:
dirò, se neghi a me questa mercede,
che oltre la tomba non si serba fede. —
10
Lascia l’onda la fiamma ritrosetta,
serpeggia fra le canne e si confonde;
poi, qual rapido solco di saetta,
corre verso la tomba e vi si asconde;
la segue la dolente, e i sterpi e i sassi
frenar non ponno i frettolosi passi.
11
Giunge all’avello, ma fuggir delusa
vede la face, che il suo amore apprezza:
non il suo amante, ma se stessa accusa
e la tarda a seguir vana lentezza;
di mortale pallor tinta la faccia
Cessa alfin di lagnarsi e il sasso abbraccia.
12
Cadea, ma Amor la resse: — Abbia riposo!
piangendo disse, ed il sepolcro aprio;
v’ascose Elmira e lo serrò pietoso,
e cosí sopra vi scolpí quel dio:
«Dafni ed Elmira, in questo muto orrore,
si serban fé, ché li congiunse Amore».