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idilli | 333 |
5
Ma tardo il raggio dell’argentea luce
fra le canne foltissime penètra,
e la dubbiosa Elmira alfin conduce
del caro amante alla negata pietra;
ivi si asside e del destin si lagna,
bacia il sasso e di lacrime lo bagna.
6
Mentre ella piange e chiama Dafni a nome,
dal chiuso avello si sprigiona e stride
pallida fiamma e, le dorate chiome
rispettando, or lambisce ed or divide,
or la fugge, or la cerca, ed or ritorno
fa su la tomba e le si aggira intorno.
7
— Alma dell’idol mio, t’arresta! — Elmira
grida — né gir da chi t’adora lungi. —
Ma piú corre e raggiungerla sospira,
piú l’altra affretta il vol, men la raggiunge;
finché la fiamma alfin, scorta la sponda,
pria si specchiò, poi si celò nell’onda.
8
— Dafni crudel, perché ti ascondi? — disse
la mesta ninfa, sospirando, allora —
sempre le luci su quest’acqua fisse
avrò, finché tu non ritorni fuora;
vieni al mio sen, mal ti convien quel loco,
ché non può l’onda dar albergo al fuoco.
9
Fra le mie braccia avrai miglior ricetto;
se mi ami ancor qual tu mi amasti in vita,
se d’oblio non hai sparso il primo affetto,
porgi orecchio e conforto a chi t’invita:
dirò, se neghi a me questa mercede,
che oltre la tomba non si serba fede. —