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IX. Il lume di luna o l'origine...

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IX

Il lume di luna o l’origine dell’ellera


     Sotto di questo pioppo, accanto al fiume,
che povero d’umor fugge la sponda,
e fra la ghiaia del romito tetto
basso mormora e lento, assiso io canto
5nel tacito silenzio della notte,
e sopisco le cure, avvezze il giorno
a ronzar fra le travi, ove raccolse
l’inutil fasto e il vaneggiar degli avi
l’industre copia dei sudati acquisti.
10L’amica luna con l’argenteo raggio
placidamente mi percuote il ciglio,
e d’ignota dolcezza il cuor mi cinge.
Tranquilla calma, dell’idee ministra,
va lentamente per le fibre, e al dolce
15agitar del suo corso la sospesa
anima attenta lusingando scuote,
e alla pittrice fantasia commossa
le impazienti immagini presenta.
Veggio l’ombre scherzar, e multiforme
20vestire aspetto, obbedienti al curvo
agitarsi dei raggi, ed or superbe
torreggiare sul monte, ed or sul piano
riposare raccorcie, or tinger brune
l’acqua vitrea del fiume, ora fuggenti
25disperdersi per l’aura e, quasi stanche,
sul deluso terren fare ritorno.
Tepido fiato, che alla luna fura
le brine intorno ed i vapor raccoglie,
feconda i fior, che, susurrando, cuna,
30che sul curvato stel chinan languenti,
dal sonno oppressa, la pieghevol cima;
e le curiose lucciolette erranti

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su l’ali fosche discoprendo vanno,
con la tremula face indagatrice,
35l’opre d’amore ed i notturni furti;
mentre dei sonni altrui vigil custode,
onor dei campi, la superba fronte
il papavero inalza, e all’inquieto
ondeggiare dell’aura le insolenti
40par che, lento incurvandosi, minacci.
Solo nel curvo sen di oscura grotta,
che sul fiume pendente erge la vetta,
cinta di neri lecci e d’edra intorta,
giunger non puote dei languenti raggi
45la moribonda forza; e l’onda, schiva
di lambirle, le piante, altrove torce
sdegnosa il flutto; e l’infeconda arena,
sparsa di ghiaia, da lontan biancheggia.
Tempo giá fu che, ove la rupe sorge,
50devoto altar sorgea, che, a Cinzia sacro,
circondava di lecci amica selva,
da cui pendeano di ferine pelli
e di teschi di lupi offerti voti.
Pastor non v’era, che scoccasse dardo
55con l’agitato braccio, o che vibrasse
la tesa corda del pieghevol arco,
o con il ferro alle sagaci volpi
tendesse insidie, che di Cinzia al nume
non consacrasse la fatica e l’armi.
60Sul sacro bosco col fecondo e vivo
raggio sedea la diva, e dei pastori
accoglieva la speme, e piú lucente
l’ara spargeva di propizia luce.
Biondo il crin, roseo il labbro e sparso il mento
65della prima lanugine degli anni,
Ellera amava, di Lirino figlia,
prole di Miri, il giovinetto Egisto;
e nemico del suon, che, insiem con l’alba,
invita i cani e i cacciatori al monte,
70su l’altare di lei giammai non sciolse
candida prece, né con picee faci
lustrò devoto l’ara, o fe’ palese

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allo smarrito peregrin la selva.
Dove sacro confin era dei campi
75avea Mirino la capanna; e, quando
l’ombre maggiori del fuggito sole
lungi premean la moribonda luce,
e d’Egisto e di lei celava agli occhi
dei curiosi pastor le tenerezze.
80Reso Lirino da l’invidia altrui
sospettoso e piú cauto, a pena in cielo
comparivano d’òr tinte le stelle,
al patrio ostello ritornava, e i dolci
spargea di tosco meditati inganni.
85Egisto, stanco di celar l’ardente
negata fiamma, alla gentil donzella
fe’ dolce invito, ove piú bruno e folto
sorgea di Cinzia rispettato il bosco.
Precipitava omai l’umida notte
90ed ascosa la luna entro una nube,
di nere macchie e di pallor dipinta,
scorta non era degl’incerti passi.
Di Miri il figlio oltre il confin varcato
era giá della selva. Un improvviso
95confuso suon di replicate strida
noto fe’ il padre alla smarrita figlia;
ma fra il silenzio e il volteggiar dell’ombre
invan cercata il genitor l’avrebbe,
se, sdegnata, dal ciel vendicatrice
100Cinzia scoperta non si fosse, e sparsi
di luce avesse i fuggitivi amanti.
— Luce importuna di noiosa diva —
disse Egisto sdegnato, — altrove volgi
l’infecondo tuo raggio, e se, gelosa
105di mia felicitá, mi scopri altrui,
torna a celarti entro una nube, o torna,
vergin fallace, sul deserto Latmo
del tuo pastore a ricercar gli amplessi.
Dal sacrilego labbro a pena sciolse
gl’irati accenti, che per l’aria scese,
110qual folgor suol, che la divide e tinge
di colori di fuoco, un raggio, e all’empio

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con forza ignota la proterva fronte
riverente, incurvando, alto percosse.
Freddo sudor per le crescenti membra
115tinse d’orrore l’indurate carni,
le tese braccia si piegâro in arco,
chino sul petto e fra le spalle involto
quasi il collo si ascose, e fitte in terra,
gementi al peso, vacillãr le piante.
120Sul caro soglio della nuova grotta
Ellera corse, ed abbracciando il freddo
inanimato sasso, ecco si sente
crescer le braccia e le nervose gambe
ricercare il terren, slungarsi il corpo
125assottigliato, e torcersi vagante
per le vie della rupe. Ascoso il capo
entro di pietra bipartita cinge
invida scorza, e le latebre spia
dell’occulta spelonca: ecco si veste
130di verdi fronde, e lussureggia errante
oltre il confin del sasso, e lentamente
scorre ambiziosa, e dei vicini lecci
s’avviticchia mordendo alle cortecce.
Giá degli amanti sovra Tl'orme incerte
135giungea Lirin, quando nel sen pietoso
di fosca nube si celò la dea,
ed al dolente genitor nascose,
col nato sasso e le nascenti foglie,
la provocata sua giusta vendetta.