allo smarrito peregrin la selva.
Dove sacro confin era dei campi 75avea Mirino la capanna; e, quando
l’ombre maggiori del fuggito sole
lungi premean la moribonda luce,
e d’Egisto e di lei celava agli occhi
dei curiosi pastor le tenerezze. 80Reso Lirino da l’invidia altrui
sospettoso e piú cauto, a pena in cielo
comparivano d’òr tinte le stelle,
al patrio ostello ritornava, e i dolci
spargea di tosco meditati inganni. 85Egisto, stanco di celar l’ardente
negata fiamma, alla gentil donzella
fe’ dolce invito, ove piú bruno e folto
sorgea di Cinzia rispettato il bosco.
Precipitava omai l’umida notte 90ed ascosa la luna entro una nube,
di nere macchie e di pallor dipinta,
scorta non era degl’incerti passi.
Di Miri il figlio oltre il confin varcato
era giá della selva. Un improvviso 95confuso suon di replicate strida
noto fe’ il padre alla smarrita figlia;
ma fra il silenzio e il volteggiar dell’ombre
invan cercata il genitor l’avrebbe,
se, sdegnata, dal ciel vendicatrice 100Cinzia scoperta non si fosse, e sparsi
di luce avesse i fuggitivi amanti.
— Luce importuna di noiosa diva —
disse Egisto sdegnato, — altrove volgi
l’infecondo tuo raggio, e se, gelosa 105di mia felicitá, mi scopri altrui,
torna a celarti entro una nube, o torna,
vergin fallace, sul deserto Latmo
del tuo pastore a ricercar gli amplessi.
Dal sacrilego labbro a pena sciolse
gl’irati accenti, che per l’aria scese, 110qual folgor suol, che la divide e tinge
di colori di fuoco, un raggio, e all’empio