Poemi conviviali/I vecchi di Ceo/III Efimeri

I vecchi di Ceo

Efimeri

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III


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     Disse Panthide: «Ospite, ho cinque figli
molto lodati, come sai: Zelòto
il primo: Argeo, buono alla lotta, eppure
fiorito appena di peluria il labbro,
l’ultimo: è questi ora su l’Istmo, ai giochi.
Lachon, ascolta. Ieri udii, su l’alba,
un grido in casa, un fievole vagito
che mi chiamava al talamo del figlio
più grande. Andai. Vidi una luce: un uomo
novo fiammante! E con le sue manine
egli annaspava come a dire — O vedi
ch’io l’ho pur qui la lampada di vita
accesa a quella ch’alla tua s’accese!
Più non è danno se la tua si spenge:
Son io Panthide. Puoi partire, o nonno! —
Parlato ch’ebbe, egli movea le labbra
come assetato... E io dovrei tutt’ora
tener le labbra al pispino del fonte,
vietando io vecchio al mio novello il bere?

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gli dovrei forse intorbidar la polla?
Io parto. E, come io sono lui, non muoio».
E Lachon disse: «Oh! io vorrei che un poco
la piccoletta fiaccola negli occhi
miei balenasse! Oh! io vorrei per poco
con la mia mano ripararle il vento!
vorrei, seduto per qualche anno al fonte
di vita, senza berne più che un sorso,
vorrei vedere quella rosea bocca
arrotondarsi sul bocciuol materno!
Ospite, io credo, più di me tu muori».


     Tacquero intenti a udirsi, dentro, l’inno
del lor respiro, onda che viene e onda
che va, seguite da un pensiero immoto.
Le mietitrici avean ripreso il canto
tra l’orzo biondo, e risonava al canto
l’aspro citareggiar delle cicale.
E disse Lachon: «Troppo bella, o sacra
isola Ceo! Chi nacque in te, che volle
morire altrove? Ma sei poca a tanti!»
A cui Panthide: «Poca sì... ma Delo
appena morti i figli suoi bandisce.
Partono i morti dalla sacra Delo
sopra la nave nera, esuli, e vanno
mirabilmente pallidi, sul mare,
alla Rhenèa dove non son che morti;
e sole capre e pecore selvaggie
belano errando sopra il lor sepolcro.»
Lachon pensava e su la palma il capo
reggea dubbioso. «Io mi ricordo» ei disse
«un inno udito, ora è molt’anni, in Delfi,

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lungo l’Alfeo: Siamo d’un dì! Che, uno?
che, niuno? Sogno d’ombra, l’uomo!»
L’ombra di lui teneva su la palma il capo:
pensava, a piè dell’albero; e vicine
stridere udiva l’ombre delle foglie.