Poemi conviviali/I vecchi di Ceo/IV L'inno antico
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IV
Poi raccolti i lor fasci di cicute
sorsero entrambi, e dissero: Va sano!...
Va sano!... E ritornavano cogliendo
ancor pei greppi i fiori della morte.
Esalava il canùciolo e il serpillo
odor di cera e dolce odor di miele.
Ronzavano api e scarabei de’ fiori.
E Lachon giunse al prònao d’Apollo,
alla Scuola del coro. Era già sera,
una sera odorosa; ed il suo nome
udì gridare a voci di fanciulli.
Eran fanciulli che, in lor giochi, un inno
volean cantare a mo’ dei grandi, un inno
vecchio, che ognuno aveva, in Ceo, nel cuore.
Presto un impube corifeo la schiera
ebbe ordinata, e già da destra il coro
movea cantando per la via del sole,
verso la sera, con gridìo d’uccelli.
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Conobbe l’inno, il primo inno cantato
a lui quand’era il suo destino in boccia
tuttora, quanti anni passati? Tanti!
E da sinistra volsero i fanciulli,
come i notturni aurei pianeti, a destra.
Nulla sta! |
I fanciulli si volsero con gli occhi
al cielo e al mare, fermi su la terra
sacra, alzando le acute esili voci.
Ora è ora d’amare. giovani ch’ansino e rapidi sbuffino l’anima |
E nel cospetto dei fanciulli apparve
Lachon il vecchio con le sue cicute,
e intorno al vecchio corsero i fanciulli
gridando: «A noi, perché ci sia ghirlanda!
l’appio a noi! l’appio verde! l’appio verde!»