gli dovrei forse intorbidar la polla?
Io parto. E, come io sono lui, non muoio».
E Lachon disse: «Oh! io vorrei che un poco
la piccoletta fiaccola negli occhi
miei balenasse! Oh! io vorrei per poco
con la mia mano ripararle il vento!
vorrei, seduto per qualche anno al fonte
di vita, senza berne più che un sorso,
vorrei vedere quella rosea bocca
arrotondarsi sul bocciuol materno!
Ospite, io credo, più di me tu muori».
Tacquero intenti a udirsi, dentro, l’inno
del lor respiro, onda che viene e onda
che va, seguite da un pensiero immoto.
Le mietitrici avean ripreso il canto
tra l’orzo biondo, e risonava al canto
l’aspro citareggiar delle cicale.
E disse Lachon: «Troppo bella, o sacra
isola Ceo! Chi nacque in te, che volle
morire altrove? Ma sei poca a tanti!»
A cui Panthide: «Poca sì... ma Delo
appena morti i figli suoi bandisce.
Partono i morti dalla sacra Delo
sopra la nave nera, esuli, e vanno
mirabilmente pallidi, sul mare,
alla Rhenèa dove non son che morti;
e sole capre e pecore selvaggie
belano errando sopra il lor sepolcro.»
Lachon pensava e su la palma il capo
reggea dubbioso. «Io mi ricordo» ei disse
«un inno udito, ora è molt’anni, in Delfi,