Poemetti (Rapisardi)/Nozze immortali

Nozze immortali

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Nel triste asilo Dopo la vittoria

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NOZZE IMMORTALI.


I.


Poi che impietrata la vital marea
     Nei campi di Selene ebbe, con ale
     Distese, ad infestar l’aure di Gea,
     Precipitò la Vergine fatale.

Cerula sul suo capo, in trionfale
     Arco, l’immensità cupa tacea;
     Ubbidiente alla terribil dea
     Le vive onde schindea l’Etra immortale.

Tremar sentì le adamantine mura
     Il Sol, presago d’alti mali, e il volto
     Fiammeggiante di strane ombre coverse;

Rabbrividì degli astri il popol folto.
     E un grido di terror su da l’oscura
     Anima della Terra al ciel si aderse.


II.


Dell’Imalaja su l’aeree vette
     L’Eguagliatrice eterna il vol raccolse;
     E poi che intorno a mirar muta stette,
     Il freddo onniveggente occhio in giù volse.

S’agitavan tra ’l sangue, in orgie abjette,
     Quante mai Furie il cieco mondo accolse,
     L’ire, i morbi, le insidie e le vendette,
     A cui senno o pietà vigor non tolse.

Spandeasi qual da fumigante calce
     Un indistinto fremito, un susurro
     Vario d’ambizíose opere umane,

Un cozzar d’armi nel quíeto azzurro,
     Un ansimar dietro a fantasme vane....
     Ratto Ella scese, e roteò la falce.


III.


Sotto l’armata, inesorabil mano
     Dell’indefessa Mietitrice a torme
     Cadean le stirpi dell’armento umano,
     Della vita perían tutte le forme.


Una rovina, un cimiterio enorme
     Parea la terra or or florida invano,
     Sul cui vasto, deserto, arido piano
     Il grande Occhio splendea che mai non dorme.

Paga de la compiuta opra, l’Eterna
     Su l’immensa ecatombe alto si assise;
     E ripensando alla vicenda alterna

E all’arcano poter che in mille guise
     Trasfigura le cose e le governa,
     Un mesto riso di pietà sorrise.


IV.


Vide l’esizio, udì le dolorose
     Ultime voci della terra, e, solo
     Nume ch’avvivar può le morte cose,
     Lanciossi Amor sopra la terra a volo.

Una fragranza languida di rose,
     Un treme luminoso invade il polo;
     Tintinnii d’arpa e canti d’usignolo
     Ondeggiano a le molli aure odorose.

Ardono al ventilar de le fugaci
     Ali del dio, rapite in vago incanto,
     Come desiderosi occhi le stelle;

Tutte le siderali anime belle
     S’aprono, come ad amoroso canto,
     Virginee bocche avide di baci.


V.


Ella disse tremando: O tu che scendi
     L’alta pace a turbar del regno mio,
     Sappi che da pietà fui mossa anch’io
     A falciar della vita i mostri orrendi.

Se alla terra donar provvido e pio
     Prole men trista e miglior sorte intendi,
     Odimi, o forte ed a me caro iddio,
     La vita ch’io le tolsi or tu le rendi.

Lieto Amor lampeggiò dagli occhi belli,
     Ed avranno, esclamò, sotto al mio trono,
     Pace, Giustizia e Libertà le genti.

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Ma se di nuovo al cenno mio ribelli,
     Tristi gli animi avranno e al male intènti,
     Al tuo regno per sempre io le abbandono.


VI.


Al dileguar dell’infeconde brume,
     Suggellâr con un bacio il nuovo rito,
     Ed ecco insiem col radíoso Nume
     Siede la Morte a nuzial convito.

Di più vivo splendore il ciel fiorito
     Versa dall’urne d’oro un roseo fiume,
     Curioso affacciandosi dal lito
     Ornasi il mar d’iridescenti spume.

Orsù, gemme canore, alto su l’ali
     Canti nuovi intrecciate all’aure amiche,
     O vaghe Ore, intessete agili balli.

Ecco la Gioja in lucidi cristalli
     Mesce l’oblio de le sciagure antiche,
     Ecco intuona alla Vita inni augurali.


VII.


Cadeste alfine, o della notte amanti
     Coronati fantasmi, ibridi mostri,
     Alla prona viltà ferrei giganti
     Che allagaste di sangue i tempi nostri!


Dall’Are infami, da’ polluti chiostri
     Dileguaste anche voi, torpidi santi:
     Non orecchio ha più il Cielo a’ vostri pianti,
     Non refugio la Terra a’ passi vostri.

Nome vuoto or voi siete, immani larve,
     A cui fu vasto e tenebroso impero
     La cieca e delirante anima umana:

Aspro esilio per voi la terra parve,
     Il piacer de la vita immagin vana,
     Provvida la menzogna, orrido il vero.


VIII.


O novella progenie, a te la Sfinge
     Sgropperà degli enimmi ultimi il senso:
     Già dissipa Sofia col raggio intenso
     Il terror che in ogni ombra un dio si finge.

Con l’audace virtù ch’oltre lo spinge,
     Il redento Pensier squarcia il vel denso,
     Onde Maja ravvolse il Tutto immenso,
     E del Buono e del Ver l’apice attinge.

A te dell’arte incantatrice il fiore,
     A te de la Beltà nitida il viso
     Molceran l’operosa anima forte;

E tu, d’un’alta Idea vòlta al sorriso,
     Libera splenderai come l’Amore,
     Equa dominerai come la Morte.