Questa pagina è stata trascritta e formattata, ma deve essere riletta. |
XVIII.
Qual supremo dolor, qual repentino
Flutto di sangue quel cervel percosse,
Ch’era da tante pugne uscito illeso?
Nel triste loco, in solitario letto,
Da mortal souno oppresso Aroldo giace.
Da’ veroni dischiusi entra l’aurora
A sparger de le sue rose la morte;
Indistinto con l’aure entra il profumo
Del contiguo giardino; e con lor viene
Improvvisa colei, che de’ pensieri
E de’ baci d’Aroldo ebbe il più puro.
Si gittò gemebonda in su l’amato
Corpo anelante nell’affanno estremo;
E sciolto il freno alla parola e al pianto.
La nivea fronte, le gelide mani
Gl’inondava di lagrime e di baci:
«O fronte, che giammai non ti piegasti
A terrena possanza, ecco or ti pieghi!
O dolci e penetranti occhi, che tutta
L’anima delle cose e il ciel vedeste,
Qual incanto maligno oggi vi oscura!
Soavi labbra, labbra sitibonde
Delle fonti del vero e de’ miei baci,
Labbra, che a, lenti sorsi, a stilla a stilla
Beveste il fiel de la tristizia umana,
Labbra, da cui, pari a falange sacra,
Tanta onesta proruppe ira di canti,
Sigillate per sempre ora voi siete?
Apritevi, o pietosi occhi, e d’un raggio
Consolate l’orrenda ombra che opprime
L’anima mia; schiudetevi, soavi
Labbra: ch’io senta ancor l’armoniosa
Voce, che tante volte il ciel mi aperse!»
Ei non la vide; nel mistero immenso
Tramontavan le sue grandi pupille,
D’altro ciel forse e d’altri lidi in traccia;
Ma quando l’armonia de l’aspettata
Parola accolse ne l’intènto orecchio.
E caldo su la fronte e su le mani
Piover sentì misto co’ baci il pianto.
Una serenità nova, un sorriso
Vago avvivò la trasognata faccia:
Anelante si eresse, un grido mise,
E trepido tentando il capo amato,
Chetamente nell’alta ombra s’immerse.
NOZZE IMMORTALI.
I.
Poi che impietrata la vital marea
Nei campi di Selene ebbe, con ale
Distese, ad infestar l’aure di Gea,
Precipitò la Vergine fatale.
Cerula sul suo capo, in trionfale
Arco, l’immensità cupa tacea;
Ubbidiente alla terribil dea
Le vive onde schindea l’Etra immortale.
Tremar sentì le adamantine mura
Il Sol, presago d’alti mali, e il volto
Fiammeggiante di strane ombre coverse;
Rabbrividì degli astri il popol folto.
E un grido di terror su da l’oscura
Anima della Terra al ciel si aderse.
II.
Dell’Imalaja su l’aeree vette
L’Eguagliatrice eterna il vol raccolse;
E poi che intorno a mirar muta stette,
Il freddo onniveggente occhio in giù volse.
S’agitavan tra ’l sangue, in orgie abjette,
Quante mai Furie il cieco mondo accolse,
L’ire, i morbi, le insidie e le vendette,
A cui senno o pietà vigor non tolse.
Spandeasi qual da fumigante calce
Un indistinto fremito, un susurro
Vario d’ambizíose opere umane,
Un cozzar d’armi nel quíeto azzurro,
Un ansimar dietro a fantasme vane....
Ratto Ella scese, e roteò la falce.
III.
Sotto l’armata, inesorabil mano
Dell’indefessa Mietitrice a torme
Cadean le stirpi dell’armento umano,
Della vita perían tutte le forme.
Una rovina, un cimiterio enorme
Parea la terra or or florida invano,
Sul cui vasto, deserto, arido piano
Il grande Occhio splendea che mai non dorme.
Paga de la compiuta opra, l’Eterna
Su l’immensa ecatombe alto si assise;
E ripensando alla vicenda alterna
E all’arcano poter che in mille guise
Trasfigura le cose e le governa,
Un mesto riso di pietà sorrise.
IV.
Vide l’esizio, udì le dolorose
Ultime voci della terra, e, solo
Nume ch’avvivar può le morte cose,
Lanciossi Amor sopra la terra a volo.
Una fragranza languida di rose,
Un treme luminoso invade il polo;
Tintinnii d’arpa e canti d’usignolo
Ondeggiano a le molli aure odorose.
Ardono al ventilar de le fugaci
Ali del dio, rapite in vago incanto,
Come desiderosi occhi le stelle;
Tutte le siderali anime belle
S’aprono, come ad amoroso canto,
Virginee bocche avide di baci.
V.
Ella disse tremando: O tu che scendi
L’alta pace a turbar del regno mio,
Sappi che da pietà fui mossa anch’io
A falciar della vita i mostri orrendi.
Se alla terra donar provvido e pio
Prole men trista e miglior sorte intendi,
Odimi, o forte ed a me caro iddio,
La vita ch’io le tolsi or tu le rendi.
Lieto Amor lampeggiò dagli occhi belli,
Ed avranno, esclamò, sotto al mio trono,
Pace, Giustizia e Libertà le genti.