Pio IX - Lettera di Giuseppe Mazzini al clero italiano/2
Questo testo è stato riletto e controllato. |
◄ | 1 | 3 | ► |
II.
Non giova illudersi. Le parole comunismo e socialismo, intorno alle quali sembra versarsi tutta l’ira papale, non rappresentano nell’Enciclica che un artifizio oratorio a conciliarsi l’animo de’ paurosi male informati, ai quali quei vocaboli suonano anarchia, divisione violenta di terre, abolizione di proprietà e peggio; stanno in sembianza d’irco emissario sul quale debbono rovesciarsi tutte le iniquità d’Israele. Ma l’Israele è la parte rivoluzionaria senza eccezioni; la parte nazionale che dice agli Italiani: Voi non siete una gente nata ad essere schiava del pastorale o del bastone tedesco; siete ventisei milioni d’uomini creati liberi, eguali, fratelli, figli tutti di Dio, non servi d’altro che della sua Legge. Dio e il popolo: è formola alla quale mira l’enciclica. Il papa sa, o deve sapere che il comunismo, ignoto all’Italia, è avversato dai più fra i repubblicani e tenuto da noi siccome concetto anti-progressivo, ostile alla libertà umana, e praticamente impossibile — che il socialismo, aspirazione più che sistema, non vale se non desiderio di sostituire alla sfrenata anarchia di diritti e privilegi individuali ch’oggi cozzano l’un contro l’altro, l'associazione progressiva ch’è conseguenza pratica della fratellanza insegnata da Cristo — e che prima sorgente d’ogni moto in Italia è il bisogno universalmente sentito di esser Nazione, nazione libera e grande, consapevole dei doveri che stringono insieme le umane famiglie e capace di compierli. Bensì, perch’ei non osi assalire il simbolo Italiano di fronte, ed evochi a combattere con più vantaggio, fantasmi non nostri, l’avversione ad ogni mutamento, ad ogni progresso di popolo, ad ogni educazione emancipatrice, non esce meno chiara o meno intollerante da quanto ei dice — dalle rampogne ai fautori di cangiamenti che illudono colla speranza di sorti più fauste gli operai e gli altri uomini di condizione inferiore — dalle paure che il popolo istupidito dai molti vizi e dalla lunga licenza ceda facilmente alle insidie — dalle avvertenze ai vescovi, perchè predichino siccome legge incommutabile di natura dovere gli uni agli altri prevalere per doti non solamente di corpo e d’anima, ma di ricchezza — dalle minacce caritatevoli di foco eterno ai miseri che si lasciassero sedurre dalle nostre promesse — e finalmente da una teorica della povertà, fondata metà sulle formole di Guizot e dei dottrinari di Francia, metà su testi isolati, pervertiti, fraintesi dell’Evangelio.
E la teorica è questa:
«I poveri esistono per ragione di cose che non può nè deve mutarsi. Ma la religione cattolica predica ai ricchi la carità, che otterrà loro da Dio tesori di grazia e di premi eterni. I poveri ringrazino la Provvidenza che schiude ad essi nella miseria, purchè sappiano sopportarla in pace e con lietezza d’animo, una più facile via di salute nel cielo. In cielo soltanto s’adempirà per essi equamente il giudizio di Dio».
E a questa si sovrappone l’altra teorica dell’Autorità. «Ogni autorità vien da Dio. Ogni governo di fatto è governo di diritto. Obbedite o, resistendo, siate dannati».
In altri termini, e compenetrando le due teoriche in una: terra e cielo costituiscono un antagonismo perpetuo. Il dritto, l’equo, la Verità regnano in cielo: il Fatto, la Forza, il Male inevitabile sulla terra. Esistono due razze umane: la razza dei ricchi e potenti, la razza dei poveri e servi. I poveri esistono a benefizio dei ricchi, perchè questi possano agevolarsi il cielo, esercitando la carità: i servi perchè i padroni possano governar con clemenza e spirito d’amore. Dove nol facciano, Dio darà punizioni e compensi nel cielo. Ma ogni tentativo di miglioramento terrestre, per opera della razza povera e serva, è peccato.
È questa la dottrina religiosa che la Chiesa del papa insegna nel secolo XIX all’Umanità. E la insegna in nome del Vangelo di Cristo, a fronte delle parole: Sia fatta la tua volontà sulla terra siccome è nel cielo dell’unica preghiera che Gesù insegnasse ai credenti — a fronte della intimazione: Adorerai il tuo Signore Iddio e servirai a lui solo1 — a fronte dell’Acciò che tutti siano Uno, come tu, Padre, sei in me ed io sono in te2.