Piccole storie e grandi ragioni della nostra guerra/VIII
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VIII.
PERCHÈ FACCIAMO LA GUERRA
Domandatelo a qualunque povera donna vissuta presso il vecchio confine ed abbia veduto per anni tutti i terribili preparativi di guerra fatti dagli Austriaci nel tempo in cui eravamo amici ed alleati, e vi dirà: — Se non fossimo stati svelti a farci una posizione di confine un po’ meno ingiusta, avremmo oramai qui i Tedeschi, e chi sa gli orrori che commetterebbero anche contro di noi, con l’odio che ci portano!
Se lo domandate ai soldati che combattono alle porte d’Italia e vedono ogni giorno coi loro occhi come i confini impostici dalla guerra del 1866 avessero lasciate le chiavi di casa nostra in mano dei nemici; ai soldati che han visto con i loro occhi quale pericolo sieno, in mano degli Austriaci, le grandi fortezze sulle Alpi del Trentino, dominanti le nostre posizioni; ai soldati che han visto quale perpetua minaccia sieno le alture fortificate del Carso, per la nostra pianura tutta aperta dai monti di Cividale alle lagune di San Giorgio di Nogaro, — vi diranno convinti che facciamo la guerra per conquistarci una linea di confine giusta e secura, per non aver domani gli Austriaci a casa nostra.
Se lo domandate ad uno dei soldati che combattono nelle terre italiane sino a poco fa soggette all’Austria, e sono testimoni di tutte le violenze, di tutte le oppressioni con le quali l’Austria voleva cancellare dalle anime e dalle terre ogni segno d’italianità, egli vi dirà che siamo entrati in guerra per liberare i nostri fratelli italiani soggetti allo straniero.
I valorosi marinai che conoscono bene tutte le nostre coste adriatiche, pericolosamente scoperte, e tutte le coste dell’altra sponda, dove i nemici hanno golfi e porti riparati e protetti, e gruppi d’isole e canali tortuosi per annidarsi e minacciarci di continuo, vi diranno: — Si combatte per riavere le basi navali che l’antica Roma e la Venezia antica avevano conquistate e stimavano necessarie per la nostra sicurezza.
L’aviatore che ha volato sopra l’Istria, sopra la Dalmazia ed ha veduto per tutto grandi anfiteatri, templi, colonne ed archi romani, e fortezze e mura veneziane, vi dirà che facciamo la guerra per riprendere la roba che è nostra, perchè l’Italia dell’altra sponda è l’Italia sacrosanta quanto questa.
E quel marinaio che scruta per ore ed ore il mare oscuro, disteso bocconi sull’estrema prua della torpediniera, inzuppato dalle ondate che passano ogni tanto sopra il suo corpo, aggrappandosi fortemente alla punta d’acciaio per non essere spazzato via, aguzzando ansiosamente gli occhi nella notte, per iscorgere il più lontano possibile la torretta di un sommergibile, la massa nera di una mina, la scìa d’un siluro? Vi dirà che si combatte perchè i mari sieno liberi e securi da ogni insidia.
Senza libertà di navigazione, infatti, senza sicurezza di trasporti, non vi può essere industria, nè commercio; non vi può essere prosperità nè progresso per le nazioni.