Piccole storie e grandi ragioni della nostra guerra/VI

Come andò

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V VII
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VI.

COME ANDÒ


Fate conto che press’a poco le cose sieno andate così.

C’era una volta un contadino, un buon uomo che non domandava se non di vivere in pace con tutti, [p. 18 modifica]lavorando il suo podere, restaurando, abbellendo la sua vecchia casa, allevando i suoi figliuoli.

È vero che, del podere, un vicino prepotente se n’era aggranfiato un pezzo; ma, per amore della pace, il contadino diceva: — Portiamo pazienza, per adesso. Verrà pure il giorno della giustizia.

Al vicino tutto serviva per brontolare o per minacciare.

Il buon uomo andava a casa, e per aprir la porta metteva, naturalmente, la chiave nella toppa?

Al vicino dava noia il rumore della serratura: — Che bisogno hai di chiavi e di porte? Chi ti sta più vicino sono io. E’ come darmi del ladro! Mi meraviglio!

Il contadino riparava un buco della siepe o verniciava lo steccato? — Che bisogno hai di siepi e di steccati? — diceva il vicino impermalito: — È tutta diffidenza verso di me.

Il buon uomo doveva starsene senza siepi, senza steccati e lasciar tutto aperto; ma il vicino intanto aggiungeva spine alle siepi e punte di ferro alle cancellate, metteva catenacci e sbarre alla sua porta, e, come non bastasse, dietro alla porta teneva un randello e nell’andito aveva sempre il fucile carico.

Una volta che il buon uomo portò a casa un cane da guardia, il vicino gli fece una scenata: — Non siamo amici? Che ne vuoi fare del cane da guardia? È un’ingiuria solenne fatta a me.

Ma lui aveva cani d’ogni specie, a mute intere, da guardia, da corsa, da ferma e da pastore; e la notte li sguinzagliava e faceva le prove: buttava un fazzoletto nel cortile del contadino, e poi aizzava i cani: — Prendi, Lupo! Là, Melampo! Là, mordi, mordi, Fido! [p. 19 modifica]

Che bisogno hai di siepi e di steccati?


[p. 20 modifica]Un giorno un uragano scoppiò sul villaggio: la grandine distrusse in un momento il raccolto d’un’annata e il fulmine abbattè parte della casa del contadino: uno dei figliuoli più piccoli rimase sotto le rovine.

Mentre il pover’uomo disperato scavava tra le macerie per trovare la culla del suo bambino, il fattore del vicino prepotente, che valeva nè più nè meno quanto lui, disse al suo padrone: — Questo sarebbe il momento di strappare al contadino il resto del podere e il meglio del bestiame.

Il padrone rispose: — Sì, sarebbe il momento buono; ma la gente ci griderebbe la croce addosso per averne approfittato. Possiamo aspettare. Tanto la porta è aperta, e si entra in qualunque momento. Quando vogliamo, possiamo andare liberi sino in cucina, fare la polenta nel suo paiolo e cuocere il pane nel suo forno.

E aspettarono....

Di là dai poderi del vicino, abitava una brava donna: era vedova e provvedeva da sola al sostentamento dei suoi figliuoli, coltivando un picciolo orto. S’industriava, faticando da mattina a sera, ma i bambini erano sempre così puliti, così ravviati da far piacere a vederli, e nell’orticello — grande quanto un fazzoletto — c’era d’ogni ben di Dio. Tutti nel villaggio erano d’accordo che non si sarebbe mai dato noia alla donna nè ai bambini, che nessuno avrebbe strappato foglia nè fiore dal piccolo orto.

Ma un giorno il vicino prepotente si mise in capo che per un uomo come lui i poderi che aveva eran pochi: — Tutto il villaggio ha da esser mio, — disse — almeno almeno sino al fiume; e quando sarò arrivato al fiume lo traverserò, e vedrò se mi convenga di prendere quello che c’è al di là. [p. 21 modifica]Per arrivare ai poderi in riva al fiume, bisognava prima passare dall’orticello della vedova; ma il prepotente non se ne fece scrupolo: aizzò i suoi cagnacci, calpestò, devastò tutto il bell’orto, buttò a terra la donna e la malmenò; e perchè i bambini piangevano, stringendosi attorno alla mamma, e cercavano di difenderla, ferì anche i piccoli innocenti e tagliò loro le manine.

Allora, quelli che avevano i poderi presso al villaggio ed anche quelli che li avevano di là dal fiume, indignati per tanta barbarie, si unirono tutti contro il prepotente.... e stanno ancora picchiandolo adesso che parliamo.

E il nostro contadino?

Si ha un bell’amare la pace, e inghiottire amaro e sputar dolce per anni, e sopportare con pazienza le ingiurie e le umiliazioni: viene il momento che, se non s’ha un fucile, ci si contenta d’un buon bastone o magari delle unghie; ma non si può star a guardare dalla finestra una strage simile.

Chi sarà stato alla finestra, senza dar una mano ai fratelli contro ai barbari, non sarà poi aiutato da nessuno se un giorno i barbari si rimbocchino le maniche e si rifacciano dalla sua parte.