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lavorando il suo podere, restaurando, abbellendo la sua vecchia casa, allevando i suoi figliuoli.

È vero che, del podere, un vicino prepotente se n’era aggranfiato un pezzo; ma, per amore della pace, il contadino diceva: — Portiamo pazienza, per adesso. Verrà pure il giorno della giustizia.

Al vicino tutto serviva per brontolare o per minacciare.

Il buon uomo andava a casa, e per aprir la porta metteva, naturalmente, la chiave nella toppa?

Al vicino dava noia il rumore della serratura: — Che bisogno hai di chiavi e di porte? Chi ti sta più vicino sono io. E’ come darmi del ladro! Mi meraviglio!

Il contadino riparava un buco della siepe o verniciava lo steccato? — Che bisogno hai di siepi e di steccati? — diceva il vicino impermalito: — È tutta diffidenza verso di me.

Il buon uomo doveva starsene senza siepi, senza steccati e lasciar tutto aperto; ma il vicino intanto aggiungeva spine alle siepi e punte di ferro alle cancellate, metteva catenacci e sbarre alla sua porta, e, come non bastasse, dietro alla porta teneva un randello e nell’andito aveva sempre il fucile carico.

Una volta che il buon uomo portò a casa un cane da guardia, il vicino gli fece una scenata: — Non siamo amici? Che ne vuoi fare del cane da guardia? È un’ingiuria solenne fatta a me.

Ma lui aveva cani d’ogni specie, a mute intere, da guardia, da corsa, da ferma e da pastore; e la notte li sguinzagliava e faceva le prove: buttava un fazzoletto nel cortile del contadino, e poi aizzava i cani: — Prendi, Lupo! Là, Melampo! Là, mordi, mordi, Fido!