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Un giorno un uragano scoppiò sul villaggio: la grandine distrusse in un momento il raccolto d’un’annata e il fulmine abbattè parte della casa del contadino: uno dei figliuoli più piccoli rimase sotto le rovine.
Mentre il pover’uomo disperato scavava tra le macerie per trovare la culla del suo bambino, il fattore del vicino prepotente, che valeva nè più nè meno quanto lui, disse al suo padrone: — Questo sarebbe il momento di strappare al contadino il resto del podere e il meglio del bestiame.
Il padrone rispose: — Sì, sarebbe il momento buono; ma la gente ci griderebbe la croce addosso per averne approfittato. Possiamo aspettare. Tanto la porta è aperta, e si entra in qualunque momento. Quando vogliamo, possiamo andare liberi sino in cucina, fare la polenta nel suo paiolo e cuocere il pane nel suo forno.
E aspettarono....
Di là dai poderi del vicino, abitava una brava donna: era vedova e provvedeva da sola al sostentamento dei suoi figliuoli, coltivando un picciolo orto. S’industriava, faticando da mattina a sera, ma i bambini erano sempre così puliti, così ravviati da far piacere a vederli, e nell’orticello — grande quanto un fazzoletto — c’era d’ogni ben di Dio. Tutti nel villaggio erano d’accordo che non si sarebbe mai dato noia alla donna nè ai bambini, che nessuno avrebbe strappato foglia nè fiore dal piccolo orto.
Ma un giorno il vicino prepotente si mise in capo che per un uomo come lui i poderi che aveva eran pochi: — Tutto il villaggio ha da esser mio, — disse — almeno almeno sino al fiume; e quando sarò arrivato al fiume lo traverserò, e vedrò se mi convenga di prendere quello che c’è al di là.