Perchè tanto languendo
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IX
IN MORTE
DI COSMO MEDICI
GRAN DUCA DI TOSCANA.
Perchè tanto languendo
Il sì fulgido lume
De’ begli occhi Firenze a terra inchina?
E cotanto gemendo
Il suo limpido fiume
Va scuro a ritrovar l’onda marina?
Perchè, tolto di pompa ogni costume,
Con afflitti sembianti
La fresca gioventù sembra canuta,
E ne i palagi dassi bando ai canti,
Ed ogni cetra per le danze è muta?
Forse vêr lei s’adira
115Crudo Marte fremente,
O fier digiun l’umana vita infesta?
Quinci duolsi e sospira,
Ed è la Tosca gente
Umida gli occhi, ed a mirarsi mesta?
120Ah no: per maggior pena ella è dolente:
Ella languisce e geme,
Che Cosmo acerba morte oggi le fura,
Solo per cui dalle miserie estreme,
Che regnano quaggiuso, era sicura.
125Se verginella sposa
Può lamentarsi a torto
Sul feretro mortal del suo diletto,
A torto lagrimosa
Prende oggi disconforto
130Firenze, e colma di cordoglio il petto,
In negre spoglie avvolto
Scorge il buon re che la beava, e scorge
Sotterra ogni piacer seco sepolto,
Ne più l’usato Sol per lei risorge.
135Vero è, che a’ pianti invano
Suolsi ogni varco aprire,
E dal fianco i sospir traggonsi a voto:
Si con orribil mano
Vien pronta a noi ferire,
140Ne mai sa poscia ristorarne Cloto.
Ma non è biasmo in se raccor martire,
Quando a corona egregia
Rivolge morte insidiosa l’armi;
E più piangendo il suo signor si pregia,
145Che con scarpelli effigiando marmi.
A Silla, onde rimbomba
Odiosa rimembranza;
A Cajo, ed a Neron, specchio degli empj,
Non venne men la tomba;
150E temuta possanza
Fece anco a’ fier tiranni innalzar tempj;
Ma se altri sopra lor cangiò sembianza,
Vivacemente il core
Dentro il petto a gioir fu persuaso:
155Sol perduta virtù reca dolore,
E però fu d’Ettor pianto l’occaso.
Ei mentre i suoi difende,
D’alta fortezza adorno
Cangiò la vita a bella fama eterna;
160Poi dall’avverse tende
All’usato soggiorno
Il trasse l’ôr della pietà paterna;
Allor dentro Ilïon gli furo intorno
I popoli dolenti,
165Rinnovellando le sue prove eccelse;
E ciascun fe’ degli occhi ampj torrenti,
Il sen percosse ed i capelli svelse.
Or per tal via non meno,
Ogni alma a te fedele,
170Cosmo, circonda la real tua bara;
E tutto s’empie il seno
Di puro assenzio e fiele,
E te guardando a farti mesto impara:
Senti, senti buon re l’alte querele,
175E come al ciel sen vanno
Lunghi ululati in richiamar tuo nome;
Prova ti sian del sostenuto affanno
Gli scuri ammanti, e le disperse chiome.