Perchè tanto languendo

Gabriello Chiabrera

XVII secolo Indice:Opere (Chiabrera).djvu Canzoni Letteratura Perchè tanto languendo Intestazione 28 luglio 2023 75% Da definire

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Questo testo fa parte della raccolta Canzoni lugubri di Gabriello Chiabrera
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IX

IN MORTE

DI COSMO MEDICI

GRAN DUCA DI TOSCANA.

Perchè tanto languendo
     Il sì fulgido lume
     De’ begli occhi Firenze a terra inchina?
     E cotanto gemendo
     Il suo limpido fiume
     Va scuro a ritrovar l’onda marina?
     Perchè, tolto di pompa ogni costume,
     Con afflitti sembianti
     La fresca gioventù sembra canuta,
     E ne i palagi dassi bando ai canti,
     Ed ogni cetra per le danze è muta?

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Forse vêr lei s’adira
     115Crudo Marte fremente,
     O fier digiun l’umana vita infesta?
     Quinci duolsi e sospira,
     Ed è la Tosca gente
     Umida gli occhi, ed a mirarsi mesta?
     120Ah no: per maggior pena ella è dolente:
     Ella languisce e geme,
     Che Cosmo acerba morte oggi le fura,
     Solo per cui dalle miserie estreme,
     Che regnano quaggiuso, era sicura.
125Se verginella sposa
     Può lamentarsi a torto
     Sul feretro mortal del suo diletto,
     A torto lagrimosa
     Prende oggi disconforto
     130Firenze, e colma di cordoglio il petto,
     In negre spoglie avvolto
     Scorge il buon re che la beava, e scorge
     Sotterra ogni piacer seco sepolto,
     Ne più l’usato Sol per lei risorge.
135Vero è, che a’ pianti invano
     Suolsi ogni varco aprire,
     E dal fianco i sospir traggonsi a voto:
     Si con orribil mano
     Vien pronta a noi ferire,
     140Ne mai sa poscia ristorarne Cloto.
     Ma non è biasmo in se raccor martire,
     Quando a corona egregia
     Rivolge morte insidiosa l’armi;
     E più piangendo il suo signor si pregia,
     145Che con scarpelli effigiando marmi.
A Silla, onde rimbomba
     Odiosa rimembranza;
     A Cajo, ed a Neron, specchio degli empj,
     Non venne men la tomba;
     150E temuta possanza
     Fece anco a’ fier tiranni innalzar tempj;
     Ma se altri sopra lor cangiò sembianza,
     Vivacemente il core
     Dentro il petto a gioir fu persuaso:
     155Sol perduta virtù reca dolore,
     E però fu d’Ettor pianto l’occaso.
Ei mentre i suoi difende,
     D’alta fortezza adorno
     Cangiò la vita a bella fama eterna;
     160Poi dall’avverse tende
     All’usato soggiorno
     Il trasse l’ôr della pietà paterna;
     Allor dentro Ilïon gli furo intorno
     I popoli dolenti,
     165Rinnovellando le sue prove eccelse;
     E ciascun fe’ degli occhi ampj torrenti,
     Il sen percosse ed i capelli svelse.
Or per tal via non meno,
     Ogni alma a te fedele,
     170Cosmo, circonda la real tua bara;
     E tutto s’empie il seno
     Di puro assenzio e fiele,
     E te guardando a farti mesto impara:
     Senti, senti buon re l’alte querele,
     175E come al ciel sen vanno
     Lunghi ululati in richiamar tuo nome;
     Prova ti sian del sostenuto affanno
     Gli scuri ammanti, e le disperse chiome.