Per la trascorsa etade
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LXXIV
VII
Per la trascorsa etade,
Arno, tuoi figli illustri il crine adorni
85Tra vaghi rami d’immortali allori,
In sul depor le spade,
Trionfando al piacer sacraro i giorni,
In cui vestendo acciar fur vincitori,
E nell’altrui memoria
90Ben fondaro i trofei della lor gloria.
Quinci, non men che il vento,
Corre drappel di barbari destrieri,
Empiendo di stupore il popol folto;
Lodato accorgimento;
95Che tuffare in obblío suoi fatti alteri
Apparisce pensier di core stolto:
E tra’ grandi è concesso
Onorar la virtute anco in sè stesse.
Con qual dunque corona,
100Bella Flora, nel sen delle tue mura
Farassi onore eterno al dì presente,
In cui l’orribil Bona
Dentro nembo di pianto il ciglio oscura
Per gli aspri assalti di tua nobil gente?
105Certo in Dedalei marmi
Déi le prove scolpir di sì belle armi.
E se feroce in guerra
Cosmo ara il mare, ed orgogliosi liti
Fa tremar di suo nome in strani modi;
110E noi lunge da terra
Varchiamo, Euterpe, e trascorriamo arditi
Il profondo oceán delle sue lodi:
Ma non verso l’aurora,
Sol verso Libia oggi volgiam la prora.
115Deh sarpa, e lascia il porto;
Né ti punga pensier che si prepari
L’arida Invidia a suscitar tempesta.
Hanno gli eroi conforto,
Se imperversando, a renderli più chiari,
120L’acerbissimo mostro il calle infesta;
Virtù non combattuta
Trova la Fama o taciturna o muta.
Già Greco stuolo invitto
Trascorse d’oceán lunghi vïaggi,
125Di che il mondo ascoltando anco s’ammira,
E per l’alto tragitto,
Nel più sublime ciel tra’ vaghi raggi,
La celebrata nave oggi si mira;
E ben lunge da Lete
130Se ne vola Giason tra l’aure liete.
Ei prese a scherno l’onde,
Soverchiò l’invincibili percosse
Di quei mai sempre formidabil scogli;
Corse barbare sponde,
135Ed in risco mortal nulla si mosse
Di straniero tiranno a’ crudi orgogli;
E spense in gran Teatro
Forti guerrier per incantato aratro.
È ver; ma per tal via
140Chi trasse l’orme dell’Achéo guerriero?
La cagion dell’oprar corona l’opra.
Se ’l vero non s’obblía,
Del tesor sì famoso il vello altero
Ad ogn’altro desire andò di sopra;
145E ricchezza, possente
Sul cor del vulgo, gl’ingombrò la mente.
Il Signor de’ miei versi
All’onorate vele aura non spande,
Male adescato da vaghezze avare;
150Ma stima ben dispersi
I tributi raccolti, ond’egli è grande,
A far sicure l’ampie vie del mare;
E perchè allegri il seno
Varchino i nocchier nostri il gran Tirreno.
155Quinci ei gonfia la tromba,
Onde a Nettun nel grembo ogni orgoglioso,
Palpitando d’orror, cangia sembiante;
E con bronzi rimbomba,
Tal che scuote le sponde al mar spumoso
160Dalle foci d’Oronte al vasto Atlante;
Ed ivi empionsi i Tempi,
Schermo pregando a’ paventati scempi.
Ma fia che d’Elle il varco
Un dì s’allarghi all’animoso volo
165Delle navi a ragion tanto temute:
E già d’angoscia carco
Il popolo di Bona innalza il duolo,
Ne sa, lasso, tener le labbra mute;
E fa stridendo auguri
170Dell’aspettato mal su i dì futuri.
Sferzisi il carro aurato
Dell’acceso Flegonte, e di Piróo
Al desiato dì giungansi l’ali;
Che io tra’ bei lauri ornato
175Ardo di saettar sul lito Eóo
D’Apollinea faretra inni immortali;
E far per piaga eterna
Fremere Invidia nella valle inferna.