Pensieri e discorsi/La ginestra/IV
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IV.
Ma ti restavano con la loro infinita bellezza la terra e il cielo. Non ricordi, Tristano, gli occasi del tuo borgo, fiammeggianti dietro monti lontani, e la siepe dell’ermo colle, e la luna pendente su esso, e la pioggerella mattutina che picchiava alla tua villetta, e le stelle dell’Orsa scintillanti sul giardino, e le lucciole erranti per le siepi, e lo schiarirsi del cielo dopo la tempesta, e il suo incupirsi dopo il crepuscolo, e il ritornare sotto la luna le ombre sparite allo sparire del sole? Non ricordi i gorgheggi dell’usignolo nell’ozio dei campi; e il canto del passero solitario dalla torre: il canto che erra in disparte nella valle, mentre nel borgo è il rombare delle campane e il crepitare dei mortaretti: e il cadenzato gracidìo delle rane, e lo stormire dei cipressi, e i silenzi altissimi dei meriggi, e il cantarellare di donna che sfaccenda nella casa serrata, e la canzone che nella notte del dì di festa muore a poco a poco lontanando per i sentieri, e i tocchi della campana che veniva a farti compagnia nelle notti di veglia e di paura? Ricordi, certo. Ma ora giaci sull’erba, neghittoso e immobile; guardi il mare, la terra e il cielo; e sorridi d’un sorriso amaro.
Vanità anche quest’infinite bellezze.