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L'Avvento - IV Il settimo giorno
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V.


O tetra Apocalissi, io non credo in te, perchè credo nella carità! Ecco la base del mio socialismo: il certo e continuo incremento della pietà nel cuore dell’uomo. Tutti i fatti raccolti dai materialisti della storia, non provano che questo: che l’uomo da solo ragionevole è divenuto sentimentale.

Non è stato l’interesse che ha via via suggerite le grandi trasformazioni sociali, ma un sentimento opposto all’interesse. La considerazione della storia a quel modo, è un continuo e facile sofisma.

È stata Roma che ha fatto trionfare la croce, sono stati i padroni che hanno abolita la schiavitù, è la borghesia che predica il socialismo. E sarà il cuore che troverà l’assetto ottimo della società, non il [p. 242 modifica]cervello e molto meno il ventre. Non sarà un dies irae il gran giorno: sarà il giorno della pietà!

Io vedo moltiplicato all’infinito per tutta la terra il convito di Elena. Si ricordano, intorno alla mensa, tutti, familiari e ospiti, le loro sventure. Il racconto delle miserie altrui suscita il ricordo delle sue proprie. Il pianto si fa compianto, la passione si fa compassione.

— Come potemmo noi odiar voi che tanto avete pensato?

— E noi come potemmo dispregiar voi che tanto avete sudato?

— E noi non riconoscemmo la vostra mente!

— E noi non baciammo le vostre mani!

— E sì: dovevamo a voi il pane dei nostri bambini!

— Oh! no: noi, noi, lo dovevamo a voi...

— Figli, venite a ringraziare il vostro benefattore.

— Figli, abbracciate il vecchio operaio che vi alimentò.

— No...

— Baciatevi, o piccoli, tra voi, che siete fratelli.

— Oh! quando penso, che tu non avevi sempre il pane...

— Taci: e io che t’invidiavo? Pareva che noi non sapessimo che anche a voi erano lunghi i giorni e lunghissime le notti... e breve la vita!

— E ora? Per il meglio lavoreremo anche noi un poco, manualmente: fa bene alla salute e al cuore...

— E anche noi avremo un po’ di tempo per l’intelletto.

— Io non ho bisogno del superfluo, perchè sono [p. 243 modifica]certo dell’avvenire dei miei figli, affidati all’amore del consorzio umano...

— E io ho già più del necessario, perchè oltre il cibo, il tetto e il vestire, ho l’istruzione per i miei figli e la gioia di questa gran pace.

— E dire che io a forza ti volevo negare ciò che è tanto mio utile averti dato!

— E dire che io volevo aver per forza ciò che per amore mi avresti dato!

— Quanto abbiamo sofferto!

— Oh! sì: quanto!

— Ed era così facile finirla!

— Così facile e così bello!

E la divina Elena verserà nelle coppe di quelli uomini mesti il farmaco contro il dolore e contro l’ira.

Chi mi dirà che questo è lontano e fantastico? Chi mai, al quale io non possa opporre che l’avvenire ch’egli prevede, è anche più lontano e più fantastico?

Qual dato di scienza economica, per esempio; che, per esempio, la ricchezza tende ad accentrarsi e la proprietà individuale a sparire; è più certo della mia semplice intuizione, che l’uomo, il quale ha già asili e ospedali in cambio d’altrettanti ergastoli di schiavi e di gladiatori, tende sempre a migliorare?

E dunque, mi si dirà, ce ne dobbiamo star con le mani in mano ad aspettare l’avvento di codesto regno della carità?

Tutt’altro! Tutt’altro! Tutt’altro! Solamente, bisogna fare, non dire! Noi dobbiamo adempierlo tutti, intorno a noi, il gran sogno dell’avvenire, nel modo che meglio possiamo. Molti fatti anche piccoli, costituiranno un gran fatto; molte parole, anche grandi, [p. 244 modifica]non possono formare che un grande discorso. E la durezza dei cuori si frange soltanto con l’esempio, quando si frange.

E sopratutto, io credo non s’abbia a parlare di lotta, se non di quella che ognuno ha da combattere con sè stesso. Il più e il meglio che possa fare un animoso combattente in pro’ dell’ideale umano è di ridurre sè stesso più che può simile a quello ch’egli afferma dover esser gli uomini futuri.

E in queste parole non è nessuna intenzione d’offesa per quelli che, per tanta parte della mia vita, chiamai i miei compagni, e chiamerei ancora così, se loro non dispiacesse: ho conosciuto, e conosco, tra loro tanti che non solo parlano, ma e fanno. O miei vecchi amici, medici dei poveri, avvocati gratuiti, maestri per carità, io non vi ho dimenticati e non vi disconosco! Ma voi non solo nascondete, col pudore del bene, la vostra opera caritatevole, ma la rinnegate a confronto della vostra predicazione! Voi disprezzate e condannate quella che chiamate la filantropia, volgendovi a questi, e la carità, volgendovi a quelli. Ebbene io credo, e questo ho voluto dire, che il fatto d’amore e di carità ha maggior importanza e consistenza, dirò così, scientifica, che le vostre teorie economiche e sociali. Tanto che qualunque uomo sia, qualunque sia la sua fede o il suo sistema, se fa il bene è più vostro compagno che il vostro compagno che il bene non lo faccia, per bene che pensi e dica e scriva.

Tanto che io, o miei buoni eroici compagni della lontana giovinezza, io non vi ho abbandonati, se non credo a ciò a cui voi credete, all’efficacia della lotta di classe e ai prematuri disegni dell’avvenire, ma, se [p. 245 modifica]mai, vi ho rinnegati, perchè non obbedisco all’aspirazione a cui voi obbedite, e che è la pietà; ma, se mai, perchè non faccio quel che voi fate, non perchè non dico quel che voi dite; ma, se mai, per l’odio o il disprezzo che io abbia conservato o concepito per uomini più ricchi o più poveri, più potenti o più deboli, più sapienti o più ignoranti di me, buoni o cattivi, onesti o delinquenti, pure infelici e mortali come me e voi tutti: cui solo l’amore può rendere, dandoci fratelli, meno infelici; dandoci figli, meno mortali.