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*    La cagione per cui trovo nelle osservazioni di Mad. di Staël del libro 14 della Corinna, anche piú intima e singolare e tutta nuova naturalezza e verità, è, oltre al trovarmi io presentemente nello stessissimo stato ch’ella descrive, il rappresentare ella quivi il genio considerante se stesso, e non le cose estrinseche né sublimi, ma le piccolezze stesse e le qualità che il genio poche volte ravvisa in se, e forse anche se ne vergogna e non se le confessa, o le crede aliene da se e provenienti da altre qualità piú basse, e perciò se n’affligge; onde, con minore sublime ed astratto, ha maggior verità e profondità familiare in tutto quello che dice Corinna di se giovanetta.

     Quantunque io mi trovi appunto nella condizione che ho detta qui sopra, pur leggendo il detto libro, ogni volta che madama parla dell’invidia di quegli uomini volgari, e del desiderio di abbassar gli uomini superiori e presso loro e presso gli altri e presso se stessi, non ci trovava la solita certissima e precisa applicabilità alle mie circostanze. E rifletto che infatti questa invidia e questo desiderio non può trovarsi in quei tali piccoli spiriti ch’ella descrive, perché non hanno mai considerato il genio e l’entusiasmo come una superiorità, anzi come una pazzia, come [p. 194 modifica]fuoco giovanile, difetto di prudenza, di esperienza di senno, ec., e si stimano molto piú essi; onde non possono provare invidia, perché nessuno invidia la follia degli altri, bensí compassione, o disprezzo, e anche malvolenza, come a persone che non vogliono pensare come voi e come credete che si debba pensare. Del resto credono che ancor esse fatte piú mature si ravvedranno, tanto sono lontane dall’invidiarle. E cosí precisamente