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[p. 176 modifica] parola corrispondente; dov’è notabile l’indole di quella gentilissima e amabilissima nazione, che un uomo onesto e probo (quantunque non fosse bello, giacché questo nome come il suo astratto καλοκἀγαθία, si usurpava per significare la sola perfetta probità e integrità in qualunque si trovasse) lo chiamava buono e bello; tanto facea conto della bellezza che non volea scompagnar l’elogio e l’indicazione della virtú da quella della beltà, e ciò costantemente e per proprietà di lingua in maniera che si dava questo titolo anche a chi fosse tutt’altro che bello. Popolo amante del bello e delicato e sensibile, conoscitore di quanto possa l’esterno e quello che cade sotto i sensi per ornare l’interno, e quanto sia sublime l’idea della bellezza che non dovrebbe mai essere scompagnata dalla virtú. Parimente si può aggiungere la parola corrispondente latina frugi, che viene a dire utile; dimostrante la qualità dell’antico popolo romano, dove un uomo tanto si stimava quanto giovava al comune, ed era obbligo [p. 177 modifica]e costume dei buoni il non vivere per se ma per la repubblica; onde per indicare un uomo di garbo, un uomo buono, si considerava la sua qualità relativa al ben pubblico, cioè in genere la sua utilità e quello che si poteva far di lui, onde lo chiamavano frugi, uomo da profitto, da cavarne costrutto.


*    Diceva una volta mia madre a Pietrino che piangeva per una cannuccia gittatagli per la finestra da Luigi: Non piangere, non piangere, ché a ogni modo ce l’avrei gittata io. E quegli si consolava, perché anche in altro caso l’avrebbe perduta. Osservazioni intorno a questo effetto comunissimo negli uomini, e a quell’altro suo affine, cioè che noi ci consoliamo e ci diamo pace quando ci persuadiamo che quel bene non era in nostra balía d’ottenerlo né quel male di schivarlo, e però cerchiamo di persuadercene, e non potendo, siamo disperati, quantunque il male in tutti i modi si rimanga lo stesso. Vedi p. 188: vedi a questo proposito il Manuale di Epitteto.