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[p. 99 modifica] Orsú, ragguagliamo le partite, dirò cosí, delle vite. Poniamo che negli stati presenti, che si chiamano ordinati e quieti, la gente viva, un uomo per l’altro, settanta anni l’uno: negli antichi, che si chiamano disordinati e turbolenti, vivessero cinquanta soli anni, a distribuir tutta la somma delle vite ugualmente fra ciascheduno; e che quei settanta anni sieno tutti pieni di noia e di miseria in qualsivoglia condizione individuale, che cosí pur troppo accade oggidí; quei cinquanta pieni di attività e varietà, ch’è il solo mezzo di felicità per l’uomo sociale. Domando io, quale dei due stati è il migliore? quale dei due corrisponde meglio allo scopo, che è la felicità pubblica e privata, insomma la felicità possibile degli uomini come uomini? cioè felicità relativa e reale e adattata e realizzabile in natura, tal qual ella è, non riposta nelle chimeriche e assolute idee, di ordine e perfezione matematica. Oltracciò domando: la somma vera della vita, dov’è maggiore? in quello stato dove ancorché gli uomini vivessero cent’anni l’uno, quella vita monotona e inattiva sarebbe, com’è realmente, esistenza, ma non vita,