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[p. 164 modifica] paese molto strano, dove nascon le genti tutte nere, come matura oliva, e córrevi sí basso il sole che si potrebbe di leggiero, se non cuocesse, con la mano toccare.


*   Com’è costantissimo e indivisibile istinto di tutti gli esseri la cura di conservare la propria esistenza, cosí non è dubbio che quasi il compimento di questa non sia l’esserne contento, e l’odiarla o non soddisfarsene non sia un principio contraddittorio; il quale non può stare in natura e molto meno in quell’essere il quale, senza entrare nella teologia, è chiaro che essendo l’ordine animale il primo in questo globo e probabilmente in tutta la natura cioè in tutti i globi, ed egli essendo evidentemente il sommo grado di quest’ordine, viene a essere il primo di tutti gli esseri nel nostro globo. Ora vediamo che in questo è tanta la scontentezza dell’esistenza, che non solo si oppone all’istinto della conservazione di lei, ma giunge a troncarla volontariamente, cosa diametralmente contraria al costume di tutti gli altri esseri e che non può stare in natura se non corrotta totalmente. Ma pur vediamo che chiunque in questa nostra età sia di qualche ingegno deve necessariamente, dopo poco tempo, cadere in preda a questa scontentezza. Io credo che nell’ordine [p. 165 modifica]dine naturale l’uomo possa anche in questo mondo esser felice, vivendo naturalmente e come le bestie, cioè senza grandi né singolari e vivi piaceri, ma con una felicità e contentezza sempre, piú o meno, uguale e temperata (eccetto gl’infortuni che possono essere nella sua vita, come gli aborti, le tempeste e tanti altri disordini accidentali, ma non sostanziali, in natura), insomma come sono felici le bestie quando non hanno sventure accidentali ec. Ma non già credo che noi siamo piú capaci di questa felicità da che abbiamo conosciuto il vòto delle cose e le illusioni e il niente di questi stessi piaceri naturali, del che non dovevamo neppur sospettare: «Tout homme qui pense est un être cor « rompu », dice il Rousseau, e noi siamo già tali. E pure vediamo che questi piccoli diletti, non ostante che noi siamo già guasti, pur ci appagano meglio che qualunque altro, come dice Werther ec.; e vediamo il minore scontento dei contadini, ignoranti ec. (quantunque essi pure assai lontani dallo stato naturale), che dei culti, e dei fanciulli massimamente che dei grandi. E l’esser uomo buono per natura, e guastarsi necessariamente nella società, può servir di prova a questo sistema, e il veder che le bestie non hanno tra loro altra società che per certi bisogni, del resto vivono insieme senza pensar l’una all’altra, e che l’istinto si vien perdendo a proporzione che la natura è alterata dall’arte, onde è grande nelle bestie e nei fanciulli, piccolo negli uomini fatti; ma ciò non prova che l’uomo sia fatto per l’arte ec., giacché la natura gli aveva dato quegl’istinti ch’egli perde poi ec. Sí che si potrebbe pensare che la differenza di vita fra le bestie e l’uomo sia nata da circostanze accidentali e dalla diversa conformazione del corpo umano, piú atta alla società ec.