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[p. 19 modifica] nate da passioni e sventure, non mai considerate come inevitabili e necessarie assolutamente all’uomo, ma come proprie dell’individuo, perciò disgraziato e infelice, e disperantesi. La disperazione e scoraggimento della vita in genere, l’odio della vita come vita umana, non come individualmente e accidentalmente infelice, la miseria destinata e inevitabile alla nostra specie, la nullità e noia inerente ed essenziale alla nostra vita, insomma l’idea che la vita nostra per se stessa non sia un bene, ma un peso e un male, non è mai entrata in intelletto antico né in intelletto umano avanti questi ultimi secoli. Anzi gli antichi si uccidevano o disperavano appunto per l’opinione e la persuasione di non potere, a causa di sventure individuali, conseguire e godere quei beni ch’essi stimavano ch’esistessero (10 gennaio 1821).