[p. 333 modifica] che esse da principio non costituissero poemi epici, ma non fossero che canti separati, raccolti poi da altri e ridotti nella presente forma, conosce e cita il Casaubono, il Bentley e l’abate Hedelin d’Aubignac, il cui libro, Conjectures académiques ou Dissertation sur l’Iliade, Paris 1715, 8°, egli disprezza altamente. Ma non nomina punto mai il nostro Vico, il quale de’ cinque libri de’ suoi Principj di Scienza nuova, 3a edizione, Napoli, 1744, ne ha uno, cioè il 3o, intitolato: Della discoverta del vero Omero, tutto dedicato alle quistioni Wolfiane. Nel qual libro, con minore abbondanza e sviluppamento di prove che il Wolf, ma pure con buone e forti ragioni, alcune delle quali non toccate da esso Wolf, asserisce e dimostra che Omero non lasciò scritto niuno de’ suoi poemi (p. 399), poiché infin’ a’ tempi di esso Omero, ed alquanto dopo di lui non si era ritruovata ancora la scrittura volgare (p. 394); «che perciò i popoli greci cotanto contesero della di lui patria, e’l vollero quasi tutti lor cittadino, perché essi popoli greci furono quest’Omero (p. 404)»; «che perciò varjno cotanto l’oppenioni d’intorno alla di lui età, perché un tal’Omero veramente egli visse per le bocche e nella memoria di essi popoli greci dalla Guerra Trojana fin’a’ tempi di Numa, che fanno lo spazio di quattrocentosessant’anni (p. 404)»; (cioè che gli autori de’ versi omerici vivessero e componessero successivamente dalla guerra troiana fino a Numa) che «la cecità, e la povertà d’Omero furono de’ Rapsodi; i quali essendo ciechi, onde ogniun di loro si disse Omero (ὃμηρος in lingua