Pensieri di varia filosofia e di bella letteratura/43
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* Diceva un marito geloso alla moglie: Non t’accorgi, Diavolo, che tu sei bella come un Angelo?
* Quanto piú del tempo si tiene a conto, tanto piú si dispera d’averne che basti; quanto piú se ne gitta, tanto par che n’avanzi.
* Non vorrei parer di detrarre al valore delle lodi colle quali V.S. s’è compiaciuta di ornarmi pubblicamente, se dirò che piú dell’onore che me ne viene, mi rallegra la benevolenza di V.S. che mi dimostrano; e questa tanto maggiore quanto essendo piú scarso il merito mio, conviene che abbondi quello che ha supplito al suo difetto.
* Proprietà, efficacia, ricchezza, varietà, disinvoltura, eleganza ancora e morbidezza e facilità, e soavità e mollezza e fluidità ec. sono cose diverse e possono stare senza la χάρις Ἀττικὴ, lepos atticum, quella grazia che non si potrà mai trarre se non da un dialetto popolare, capace di somministrarla, che gli antichi greci traevano dall’attico, i latini massimamente antichi come Plauto Terenzio ec. dal puro e volgare e nativo romano, e noi possiamo e dobbiamo derivare dal toscano usato giudiziosamente.
* Non si trova in verun Dizionario italiano ch’io abbia potuto consultare ma è comune fra noi la parola blitri o blittri o blitteri che significa, un niente, cosa da nulla ec. Questa casa è un blitri; questa città è un blitri a misurarla con Roma ec. ec. Ora questa parola é totalmente e interamente greca: βλίτρι, che anche si diceva βλίτυρι ε βλήτυρι ε βλίτηρι (come anche noi) e forse anche βρίτυρι, e non significava nulla. Vedi Laerzio, l. 7, segm. 57 e quivi le note del Casaubon e del Menagio e il Du Fresne, Glossar. Graec. in βλίτηρι e nell’appendice 1 in βλίτηρι parimente. Tutti gli altri libri immaginabili che poteano fare al caso sono stati da me consultati scrupolosamente, senza trovarci ombra di questa voce, e nominatamente i dizionari greci tutti quanti n’ho, dove manca affatto, in tutte le sue maniere.
* Il cantare che facciamo quando abbiamo paura non è per farci compagnia da noi stessi come comunemente si dice, né per distrarci puramente, ma, come trovo incidentemente e finissimamente notato anche nella seconda lettera del Magalotti contro gli atei, per mostrare e dare ad intendere a noi stessi di non temere. La quale osservazione potrebbe forse applicarsi a molte cose e dare origine a parecchi pensieri. E già è manifesto che all’aspetto del male noi cerchiamo d’ingannarci e di credere che non sia tale o minore che non è, e però cerchiamo chi se ne mostri o ne sia persuaso, e per ultimo grado, per persuaderlo a noi stessi, fingiamo d’esserne già persuasi, operando e discorrendo tra noi come tali. E questo è quello che accade nel caso detto di sopra. E già è costume di moltissimi il detrarre quanto piú possono colle parole e colla fantasia a’ mali che loro sovrastanno, e con ciò si consolano e fortificano, mendicando il coraggio non dal disprezzo del male ma dalla sua immaginata falsità o piccolezza; onde son molti che non si sgomentano se non di rarissimo, perché, quando vien loro annunziato o prevedono qualche male, prima non lo credono affatto, cioè si nascondono o impiccoliscono tutti i motivi di credere, e cosí, se il male non ha luogo effettivamente, essi non han temuto, e gli altri sí, e con ragione; poi lo scemano immaginando quanto possono, e cosí non temono se non in quei rari casi nei quali sopraggiunge un male cosí evidente e reale e che li tocchi in modo che non possano ingannarsi, giacché, anche sopraggiunto che sia, molte volte non lo credono affatto male, cioè non lo voglion credere. E questi che