<dc:title> Pensieri di varia filosofia e di bella letteratura </dc:title><dc:creator opt:role="aut">Giacomo Leopardi</dc:creator><dc:date>XIX secolo</dc:date><dc:subject></dc:subject><dc:rights>CC BY-SA 3.0</dc:rights><dc:rights>GFDL</dc:rights><dc:relation>Indice:Zibaldone di pensieri I.djvu</dc:relation><dc:identifier>//it.wikisource.org/w/index.php?title=Pensieri_di_varia_filosofia_e_di_bella_letteratura/4221&oldid=-</dc:identifier><dc:revisiondatestamp>20190918141635</dc:revisiondatestamp>//it.wikisource.org/w/index.php?title=Pensieri_di_varia_filosofia_e_di_bella_letteratura/4221&oldid=-20190918141635
Pensieri di varia filosofia e di bella letteratura - Pagina 4221 Giacomo LeopardiZibaldone di pensieri I.djvu
[p. 153modifica] repurgare. - Ridete? Or traducete queste che vi paiono stoltizie, dalla lingua antica filosofica nella moderna, e voi vedrete accadere quello che dice il Dutens, cioè quante verità (qui però si tratterà di errori) si troverebbero negli antichi, credute moderne, se si sapessero tradurre i loro detti nella lingua modernamente adottata per la filosofia. Queste scempiaggini del filosofo mistico Isidoro, comuni in gran parte agli altri mistici di quello e dei vicini secoli, e dominanti in quei tempi di sogni e di creuseries, che altro sono se non, con solo diverse parole, le misticherie di quei moderni, che quando non ci possono provare con ragioni quello che vogliono, quando sono obbligati a confessare che argomenti per provarlo non vi sono, che anzi abbondano gli argomenti in contrario, ricorrono alla gran prova del sentimento, e pretendono che questo debba esser l’unica guida, canone, maestro della verità nelle cose che piú importano? E noi che ridiamo di questi passi di Damascio, non ridiamo di queste sentenze moderne, anzi le ripetiamo e magnifichiamo. Questo è proprio il caso del mutato nomine (propriamente il nome e non altro) de te fabula. Che altro è questo sentimento, questa sensibilità, questo entusiasmo, queste ispirazioni, che non tutti hanno da natura, o chi piú chi meno, ma che ci si dà per il principal mezzo di conoscere il vero, ed a cui si debba subordinare ogni altro mezzo, compresa la ragione; che altro è, dico, se non quello che Isidoro chiamava εὐμοιρία in quest’altro luogo (che ci fa ridere) di Damascio, appresso lo stesso Fozio, colonna 1034?. ἀγχίνοιαν καὶ ὀξύτητα ὁ Ισίδωρος, φησίν (Δαμάσκιος), ἔλεγεν οὐ τὴν εὐκίνητον φαντασίαν, οὐδὲ τὴν δοξαστικὴν εὐφυΐαν, οὐδὲ μόνην (ώς ἄν τις οἰηθέιη) διάναιον εὔτροχον καὶ λόγιμον ἀληθείας· οὐ γὰρ εἶναι ταύτας αἰτίας, ἀλλὰ τῇ αἰτίᾳ [p. 154modifica]δουλεύειν εἰς νόησιν. Τἡν δέ εἶναι θείαν κατά κωχήν (in margine corrigitur κατοχὴν), ἠρέμα διανοίγουσαν καὶ ὑπο καθαίρουσαν τὰ τῆς ψυχῆς ὄμματα, καὶ τῷ νοερῷ φωτὶ καταλάμπουσαν, εἰς θέαν καὶ γνώρισιν τοῦ ὰληθοῦς καὶ τοῦ ψευδοῦς. εὐμοιρίαν ταύτην ὲκεῖνος ὠνόμαζε. καὶ ὡς οὐδὲν γένοιτ’ ἂν ὄφελος ἄνευ εὐμοιρίας, ὡς οὐδὲ ὸφθαλμῶν ὑγιαινόντων ὄφελος ἄνευ τοῦ οὐρανίου φωτὸς, διετείνετο.