[p. 452 modifica] ci persuadessimo di nuovo che fossero vere? Un ritorno della ragione, non ragionato, ma solamente volontario, non può esser che vano, istabile e passeggero, come quello de’ moderni filosofi sensibili, che, cercando a piú potere di riprendere le illusioni perdute, ci riescono, al piú, momentaneamente, e del resto passano la vita nella freddezza, indifferenza e morte. Dopo la cognizione pertanto, non possiamo tornare alle illusioni, cioè ripersuadercene, se non conoscendo che son vere. Ma non son vere se non rispetto a Dio e ad un’altra vita. Rispetto a Dio ch’é la virtú, la bellezza ec. personificata, la virtú, sostanza e non fantasma, come nell’ordine delle cose create. Rispetto a un’altra vita, dove la speranza sarà realizzata, la virtú e l’eroismo premiato ec., dove insomma le illusioni non saranno piú illusioni ma realtà. Dunque la perfezion della ragione (tanto rispetto a questa come all’altra vita, perché ho mostrato che la perfezione rispetto a questa vita dipende dalla perfezione rispetto all’altra) consiste formalmente nella cognizione di un altro mondo. In questa cognizione dunque consiste la perfezione e quindi la felicità dell’uomo corrotto. Dunque l’uomo corrotto non poteva esser perfezionato né felicitato se non dalla rivelazione, ossia dalla religione. Ed ecco strettamente