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[p. 435 modifica] Non solo la cognizione delle verità religiose, morali ec., ma di qualunque verità fisica ec. ec., diviene necessaria alla sua felicità. Ora, quando anche si voglia supporre che l’uomo primitivo avesse mezzi sufficienti per conoscere le verità religiose e morali, come par che supponga il nostro libro, è certo che non gli ebbe per infinite altre; è certo che infinite se ne ignorano ancora, che infinite se ne ignoreranno sempre, che la massima parte degli uomini è, tolto nella religione rivelata, ignorante quanto i primitivi, che i fanciulli lo sono parimente, anche quanto alla religione. È certo che quantunque l’uomo conosca Dio ch’è infinito, non lo [p. 436 modifica]conosce né lo può conoscere infinitamente (come neanche amare, quantunque l’autore presuma che la nostra facoltà di amare sia infinita, essendo infinito il desiderio), anzi limitatissimamente. Dunque la sua cognizione non è infinita; dunque, se la sua facoltà di conoscere è infinita, manca del suo oggetto e perciò della sua felicità. Dunque l’uomo non può esser felice: dunque ripeterò coll’autore, egli è un essere contraddittorio, perché avendo un fine, cioè la perfezione o la felicità, non ha alcun mezzo di pervenirvi. E le illusioni, che la natura ha poste saldissimamente in tutti noi, perché ce le ha poste? Per contendergli espressamente la sua felicità? E se l’ignoranza è infelicità, perché l’uomo esce dalle mani della natura cosí strettamente infelice? Insomma