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436 | pensieri | (386-387) |
conosce né lo può conoscere infinitamente (come neanche amare, quantunque l’autore presuma che la nostra facoltà di amare sia infinita, essendo infinito il desiderio), anzi limitatissimamente. Dunque la sua cognizione non è infinita; dunque, se la sua facoltà di conoscere è infinita, manca del suo oggetto e perciò della sua felicità. Dunque l’uomo non può esser felice: dunque ripeterò coll’autore, egli è un essere contraddittorio, perché avendo un fine, cioè la perfezione o la felicità, non ha alcun mezzo di pervenirvi. E le illusioni, che la natura ha poste saldissimamente in tutti noi, perché ce le ha poste? Per contendergli espressamente la sua felicità? E se l’ignoranza è infelicità, perché l’uomo esce dalle mani della natura cosí strettamente infelice? Insomma (387) le assurdità sono infinite, quando non si vuol riconoscere che l’uomo esce perfetto dalle mani della natura come tutte le altre cose; che la verità assoluta è indifferente all’uomo (quanto al bene, ma non sempre, anzi di rado, quanto al nuocergli); che lo scopo della sua facoltà intellettiva non è la cognizione, in quanto cognizione derivata dalla realtà, ma la concezione o l’opinione di conoscere, sia vera, sia falsa. Che vuol dire che gl’ignoranti in luogo di esser piú infelici, sono evidentemente i piú felici?
Posti questi principii, dice l’autore, (cioè i sovresposti p. 378-380), consideriamo la filosofia e la religione ne’ loro rapporti colla felicità. E segue mostrando che la filosofia non rivela né prescrive nulla, fuorché il dubbio, tanto ne’ principii o nelle verità quanto ne’ doveri: e la religione tutto l’opposto. Siamo d’accordo, ma la natura? l’avete dimenticata? Non c’é altra maestra che la filosofia o la religione? tutte due ascitizie e non inerenti alla natura dell’uomo. Laddove tutti gli altri esser viventi, che hanno lo stesso desiderio infinito della felicità, ne hanno la maestra, gl’insegnamenti e i mezzi in se stessi. La