<dc:title> Pensieri di varia filosofia e di bella letteratura </dc:title><dc:creator opt:role="aut">Giacomo Leopardi</dc:creator><dc:date>XIX secolo</dc:date><dc:subject></dc:subject><dc:rights>CC BY-SA 3.0</dc:rights><dc:rights>GFDL</dc:rights><dc:relation>Indice:Zibaldone di pensieri I.djvu</dc:relation><dc:identifier>//it.wikisource.org/w/index.php?title=Pensieri_di_varia_filosofia_e_di_bella_letteratura/33&oldid=-</dc:identifier><dc:revisiondatestamp>20130712192255</dc:revisiondatestamp>//it.wikisource.org/w/index.php?title=Pensieri_di_varia_filosofia_e_di_bella_letteratura/33&oldid=-20130712192255
Pensieri di varia filosofia e di bella letteratura - Pagina 33 Giacomo LeopardiZibaldone di pensieri I.djvu
[p. 126modifica] assolutamente invece, cioè escluso l’altro cibo ec. L’altro luogo dove l’usa è lib. IV, c. 6 nello stesso modo assoluto: «In vicem eius, [p. 127modifica]cremor ptisanae sumendus est». E lib.IV, c. 2, fine: «Post quae vix fieri potest ut idem incommodum maneat», semplicemente come noi diciamo incomodo per piccola malattia. E c. 22: «Quod fere post longos morbos vis pestifera huc se inclinat, quae ut alias partes liberat sic hanc ipsam (nimirum coxas) quoque affectam prehendit». E c. 28 del lib. V, sect. 17: «Nam et rubet (impetiginis genus primum) et durior est et exulcerata est, et rodit», come diciamo noi volgarmente talvolta per prurire, neutro e spesso anche impersonale. E cosí ivi poco dopo: «Squamulae ex summa cute discedunt, rosio major est.» E poco dopo di un altro genere d’impetigine dice: «In summa cute finditur, et vehementius rodit». Dove s’ingannerebbe chi credesse che Celso volesse per rodere intendere lo stesso che erodere, poiché 1°, egli usa sempre questo secondo quando si tratta di significare corrosione: 2°, negli esempi che addurrò dove si vede il passivo di rodere, l’accompagnamento delle altre parole, mostra che non si tratta di corrosione ma di prurito; e dice dunque (ib. sect. seguente) di un altro male simigliante: «In quo per minimas pustulas cutis exasperatur et rubet leviterque roditur»; e poco sotto, di un altro genere del sopraddetto male: «In quo similiter quidem, sed magis cutis exasperaturque exulceraturque ac vehementius et roditur et rubet et interdum etiam pilos remittit»: 3°, nella sez. precedente la 17, dice della scabbia o rogna per tutta definizione queste parole: «Scabies vero est durior cutis, rubicunda; ex qua pustulae oriuntur, quaedam humidiores, quaedam sicciores. Exit ex quibusdam sanies, fitque ex his continuata exulceratiopruriens, serpitque in quibusdam cito. Atque in aliis quidem ex toto desinit, in aliis vero certo tempore anni revertitur. Quo asperior est, quoque prurit magis, eo difficilius tollitur. Itaque eam quae talis est, ἀγρίαν, id est feram, Graeci appellant». Poi passa ai rimedi che sbriga in poche righe, senza far altro motto della natura del [p. 128modifica]male. Ora nella sezione seguente dice del primo genere d’impetigine, che «similitudine scabiem repraesentat, nam et rubet etc.» come sopra; dove egli ha la mira a quello che ha detto di sopra della scabbia, com’è evidente: ma ch’ella sia rossa, dura, esulcerata l’ha detto, come io ho notato con lineette; che corroda non l’ha detto punto: ora come sarà simile alla scabbia la impetigine nam rodit? perché rode? Bensí ha detto che la scabbia prurit, e questo segno sostanziale mancherebbe alla impetigine, se il rodit non si prendesse in questo senso, che d’altronde non si può prendere per corrodere. Vedi se il Forcellini o l’appendice ha nulla di rodere in significato di prurire1. E lib. VI, c. 2, fine: «Si parum per haec proficitur vehementioribus uti licet, cum eo ut sciamus (senza il tamen), utique in recenti vitio id inutile esse.» E ib., c. 18, sect. 7:
Note
↑Non ha niente; e però questo significato è nuovo e da aggiungersi ai vocabolari latini, cioè rodere per prurire, non è neutro però, giacché n’abbiamo veduto il passivo, quantunque si potrebbe disputare pro e contra. Nota ancora che rodere per erodere è bensí raro appo Celso, pur si trova l. VII, c. 2, verso il fine. Nel lib. VII, c. 23 c’è il vocabolo rosio che non ha significato chiaro e si può spiegare in un modo e nell’altro, sebbene appena si può prendere, anzi non si può per l’azione del corrodere, ma per il senso di ciò, vale a dire di un prurito veemente: «Fereque a die tertio spumans bilis alvo cum rosione redditur.» E questo mi pare anzi il significato suo certo in questo luogo, come apparisce dal contesto, dove né prima né dopo non si parla punto né d’effetti né di rimedi o altro analogo a corrosione. Rodere si trova anche in significato dubbio tre volte nel l. VII, c. 25, sect. 4 circa il fine e c. 27 dopo il mezzo.