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[p. 382 modifica] per l’altra il sapere non è piú proprio solamente di pochi, i quali non potrebbero formare il gusto comune; allora le considerazioni cadono necessariamente sopra le cose che c’interessano piú da vicino, piú fortemente, piú universalmente. L’uomo pregiudicato o irriflessivo segue l’abitudine, lascia andar le cose come vanno, e perché vanno e sono andate cosí, non pensa che possano andar meglio. Ma l’uomo spregiudicato e avvezzo a riflettere, com’é possibile che, essendo la politica in relazione continua colla sua vita, non la renda l’oggetto principale delle sue riflessioni e per conseguenza del suo gusto? Nei secoli passati, come in quello di Luigi XIV, anche gli uomini abili, non essendo né spregiudicati, né principalmente riflessivi, della politica conservavano l’antica idea, cioè che stesse bene come stava e toccasse a pensarvi solamente a chi aveva in mano gli affari. Piú tardi, gli uomini spregiudicati non mancavano, ma eran pochi; pensavano e parlavano di politica, ma il gusto non poteva essere universale. Aggiungete che i letterati e i sapienti per lo piú vivono in una certa lontananza dal mondo; perciò la politica non toccava il sapiente cosí dappresso, non gli stava tanto avanti gli occhi, non era in tanta relazione