<dc:title> Pensieri di varia filosofia e di bella letteratura </dc:title><dc:creator opt:role="aut">Giacomo Leopardi</dc:creator><dc:date>XIX secolo</dc:date><dc:subject></dc:subject><dc:rights>CC BY-SA 3.0</dc:rights><dc:rights>GFDL</dc:rights><dc:relation>Indice:Zibaldone di pensieri I.djvu</dc:relation><dc:identifier>//it.wikisource.org/w/index.php?title=Pensieri_di_varia_filosofia_e_di_bella_letteratura/3098&oldid=-</dc:identifier><dc:revisiondatestamp>20161204090058</dc:revisiondatestamp>//it.wikisource.org/w/index.php?title=Pensieri_di_varia_filosofia_e_di_bella_letteratura/3098&oldid=-20161204090058
Pensieri di varia filosofia e di bella letteratura - Pagina 3098 Giacomo LeopardiZibaldone di pensieri I.djvu
[p. 183modifica] il credersi minor di quello e da lui superato, maggior di questo od uguale; insomma, il distribuir la gloria secondo la fortuna. Questa proprietà degli uomini di tutti i tempi avea maggior luogo che mai negli antichi. L’esser fortunato era la somma lode appo loro (vedi fra l’altre la p. 3072, fine e p. 3342). E ciò per varie cagioni. Primieramente la fortuna non si stimava mai disgiunta dal merito, per modo ch’eziandio non conoscendo il merito, ma conoscendo la fortuna d’alcuno, si reputava aver bastante argomento per crederlo meritevole. Come negli stati liberi pochi avanzamenti si possono ottenere senz’alcuna sorta di merito reale, e come gli antichissimi popoli nella distribuzione degli onori, delle dignità, delle cariche, dei premi, avevano ordinariamente riguardo al merito sopra ogni altra cosa, cosí [p. 184modifica]e conseguentemente stimavano che gli Dei non compartissero i loro favori, che la fortuna non si facesse amica, se non di quelli che n’erano degni: talmente che anche i doni naturali, come la bellezza e la forza, si stimavano compagni