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(3096-3097-3098) pensieri 183

l’uomo, perché seguendole il poema epico non può produrre il grande e forte e bello effetto ch’ei deve, o per lo meno  (3097) non può produrre il maggiore e migliore effetto che gli sia d’altronde e in se stesso possibile; e che per conseguenza esse regole sono cattive e false.

Nella Iliade pertanto non v’é unità. Due sono realissimamente gli Eroi, Ettore e Achille. Due gl’interessi e diversi l’uno dall’altro: l’uno pel primo di questi Eroi e per la sua causa, l’altro pel secondo e per la causa de’ greci. Interessi affatto contrarii che Omero volle espressamente destare e desta, volle alimentare e mantenere continuamente vivi ne’ suoi lettori, e l’ottiene; volle far ciò dell’uno e dell’altro interesse ugualmente e come di compagnia, e cosí fece.


    È proprio degli uomini l’ammirar la fortuna e il buon successo delle intraprese, l’essere strascinati da questo e da quella alla lode, e per lo contrario dalla mala sorte e dal tristo esito al biasimo, l’esaltare chi ottenne quel che cercò, il deprimere chi non l’ottenne, lo stimar colui superiore al generale, costui uguale o inferiore,  (3098) il credersi minor di quello e da lui superato, maggior di questo od uguale; insomma, il distribuir la gloria secondo la fortuna. Questa proprietà degli uomini di tutti i tempi avea maggior luogo che mai negli antichi. L’esser fortunato era la somma lode appo loro (vedi fra l’altre la p. 3072, fine e p. 3342). E ciò per varie cagioni. Primieramente la fortuna non si stimava mai disgiunta dal merito, per modo ch’eziandio non conoscendo il merito, ma conoscendo la fortuna d’alcuno, si reputava aver bastante argomento per crederlo meritevole. Come negli stati liberi pochi avanzamenti si possono ottenere senz’alcuna sorta di merito reale, e come gli antichissimi popoli nella distribuzione degli onori, delle dignità, delle cariche, dei premi, avevano ordinariamente riguardo al merito sopra ogni altra cosa, cosí