Pensieri di varia filosofia e di bella letteratura/29
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* Tutto è o può esser contento di se stesso, eccetto l’uomo, il che mostra che la sua esistenza non si limita a questo mondo, come quella dell’altre cose.
* Canzonette popolari che si cantavano al mio tempo a Recanati.(decembre 1818).
Fàcciate alla finestra, Luciola,
Decco che passa lo ragazzo tua,
E porta un canestrello pieno d’ova
Mantato colle pampane dell’uva.
I contadí fatica e mai non lenta,
E ’l miglior pasto sua è la polenta.
È già venuta l’ora di partire,
In santa pace vi voglio lasciare.
Nina, una goccia d’acqua se ce l’hai:
Se non me la vòi dà padrona sei.
(aprile 1819).
Io benedico chi t’ha fatto l’occhi,
Che te l’ha fatti tanto ’nnamorati.
(maggio 1819).
Una volta mi voglio arrisicare,
Nella camera tua voglio venire.
(maggio 1820).
* Ottimamente il Paciaudi, come riferisce e loda l’Alfieri nella sua propria vita, chiamava la prosa la nutrice del verso; giacchè uno che per far versi si nutrisse solamente di versi, sarebbe come chi si cibasse di solo grasso per ingrassare, quando il grasso degli animali è la cosa meno atta a formare il nostro, e le cose più atte sono appunto le carni succose ma magre, e la sostanza cavata dalle parti più secche, quale si può considerare la prosa rispetto al verso.
* Una giovane nubile educata parte del monastero, parte in casa con massime da monastero, esortava la sorella di un giovane parimente libero a volergli bene, e le ripeteva questo piú volte e con premura: cosa di ch’io informato, credetti che questo potesse essere un artifizio dell’amore, che non potendo a cagione della di lei educazione monastica operare direttamente, operava indirettamente, facendole consigliare altrui un amor lecito verso quell’oggetto, ch’ella forse si sentiva portata ad amare con amore ch’ella avrà stimato illecito.
* Un villano del territorio di Recanati, avendo portato un suo bue già venduto al macellaio compratore per essere ammazzato, e questo sul punto dell’operazione, da principio dimorò sospeso e incerto di partire o di restare, di guardare o di torcere il viso, e finalmente avendo vinto la curiosità, e veduto stramazzare il bue, si mise a piangere dirottamente. L’ho udito da un testimonio di vista.
* Chi mi chiedesse qual sia secondo me il piú eloquente pezzo italiano, direi le due canzoni del Petrarca Spirto gentil ec. e Italia mia ec. Se concedessi qualche cosa al Tasso[direi], ch’era in verità eloquente e principalmente parlando di se stesso, ed eccetto il Petrarca è il solo italiano veramente eloquente. La sventura in gran parte lo fece tale, e l’occorrergli spessissimo di difendersi ec. e in qualunque modo parlar di se; perch’io sosterrò sempre che gli uomini grandi quando parlano di se diventano maggiori di se stessi, e i piccoli diventano qualche cosa, essendo questo un campo dove le passioni e l’interesse e la profonda cognizione ec. non lasciano campo all’affettazione e alla sofisticheria, cioè alla massima corrompitrice dell’eloquenza e della poesia; non potendosi cercare i luoghi comuni quando si parla di cosa propria, dove necessariamente detta la natura e il cuore, e si parla di vena e di pienezza di cuore.
Onde quello che si dice della utilità derivante agli scrittori dal trattare materie presenti a miglior dritto si dee dire del parlare di se stesso, comunque paia a prima vista che il parlar di se non debba interessar gran fatto gli uditori: