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[p. 336 modifica] ben naturale che una città di romani in qualunque luogo del mondo parli la lingua romana e cosí un’armata ec. Ma questo non ha che fare coll’adottarsi generalmente una lingua dagli stranieri, coll’essere tutti gli uomini cólti di qualunque nazione quasi δίγλωττοι, (vedi p. 684), e col potere un viaggiatore farsi intendere con quella lingua in qualunque luogo. Ora in questo consiste l’universalità di una lingua, e non: 1°, nell’esser parlata da nazionali suoi in molte parti del mondo; 2°, nell’essere anche introdotta presso molte nazioni col mezzo di quelli che la parlano naturalmente, sia coll’abolire la lingua dei vari paesi (quando anzi la διγλωττία suppone che questa si conservi), sia coll’alterarla o corromperla piú o meno per mezzo della mescolanza. Cosa che vediamo accaduta nel latino, del quale si trovano vestigi notabilissimi in molte parti d’Europa (forse anche di fuori) come, se non erro, in Transilvania, in Polonia, in Russia ec.; e si vede ch’ella si era stabilita nella Spagna e la Francia, dove poi ne derivarono, corrompendosi, la latina, le lingue spagnuola e francese, e nell’Affrica cartaginese e numidica ec.; quando della greca forse non si troveranno, o meno; e contuttociò la lingua latina non è stata mai universale nel senso spiegato di sopra, come non è universale oggi la lingua inglese, perciò ch’ella è stabilita e si parla come lingua materna in tutte quattro le parti del mondo (in ciascuna delle quattro parti). È noto poi come i greci l’ignorassero sempre, il che forse contribuí a conservar piú a lungo la purità della loro lingua, la sola che conoscessero. E quanto