<dc:title> Pensieri di varia filosofia e di bella letteratura </dc:title><dc:creator opt:role="aut">Giacomo Leopardi</dc:creator><dc:date>XIX secolo</dc:date><dc:subject></dc:subject><dc:rights>CC BY-SA 3.0</dc:rights><dc:rights>GFDL</dc:rights><dc:relation>Indice:Zibaldone di pensieri I.djvu</dc:relation><dc:identifier>//it.wikisource.org/w/index.php?title=Pensieri_di_varia_filosofia_e_di_bella_letteratura/2218&oldid=-</dc:identifier><dc:revisiondatestamp>20150904134614</dc:revisiondatestamp>//it.wikisource.org/w/index.php?title=Pensieri_di_varia_filosofia_e_di_bella_letteratura/2218&oldid=-20150904134614
Pensieri di varia filosofia e di bella letteratura - Pagina 2218 Giacomo LeopardiZibaldone di pensieri I.djvu
[p. 111modifica] se può (che [p. 112modifica]se può, certo lo fa), nel riconoscere o nel figurarsi, ma certo persuadersi e procurare con ogni sforzo di persuadersi fermamente, ch’essi sono eccessivi, senza fine, senza limiti, senza rimedio né impedimento né compenso né consolazione veruna possibile, senza alcuna circostanza che gli alleggerisca; nel vedere insomma e sentire vivacemente che la sua sventura è propriamente immensa e perfetta e quanta può essere per tutte le parti e precluso e ben serrato ogni adito o alla speranza o alla consolazione qualunque, in maniera che l’uomo resti propriamente solo colla sua intera sventura. Questi sentimenti si provano negli accessi di disperazione, nel gustare il passeggero conforto del pianto (dove l’uomo si piglia piacere a immaginarsi piú infelice che può), talvolta anche nel primo punto e sentimento o novella ec. del suo male ec.