<dc:title> Pensieri di varia filosofia e di bella letteratura </dc:title><dc:creator opt:role="aut">Giacomo Leopardi</dc:creator><dc:date>XIX secolo</dc:date><dc:subject></dc:subject><dc:rights>CC BY-SA 3.0</dc:rights><dc:rights>GFDL</dc:rights><dc:relation>Indice:Zibaldone di pensieri I.djvu</dc:relation><dc:identifier>//it.wikisource.org/w/index.php?title=Pensieri_di_varia_filosofia_e_di_bella_letteratura/2207&oldid=-</dc:identifier><dc:revisiondatestamp>20150904134159</dc:revisiondatestamp>//it.wikisource.org/w/index.php?title=Pensieri_di_varia_filosofia_e_di_bella_letteratura/2207&oldid=-20150904134159
Pensieri di varia filosofia e di bella letteratura - Pagina 2207 Giacomo LeopardiZibaldone di pensieri I.djvu
[p. 106modifica] si stacca quando teme, come il navigante che getta in mare il frutto de’ suoi piú lunghi travagli e anche di tutta la sua vita, i suoi mezzi di sussistenza. Onde si può dire che il timore è la perfezione e la piú pura quintessenza dell’egoismo, perché riduce l’uomo non solo a curar puramente le cose sue, ma a staccarsi anche da queste per non curar che il puro e nudo se stesso, ossia la nudissima esistenza del suo proprio individuo separata da qualunque altra possibile esistenza. Fino le parti di se medesimo sacrifica l’uomo nel timore per salvarsi la vita, alla quale e a quel solo che l’é assolutamente necessario in qualunque istante, si riduce e si rannicchia la cura e la passione dell’uomo nel timore. Si può dir che il se stesso diviene allora piú piccolo e ristretto che può, affine di conservarsi, e consente a [p. 107modifica]gettare tutte le proprie parti non necessarie, per salvare quel tanto ch’è