[p. 87 modifica] a trattare un tale argomento in latino, a parlare a se stesso e di se stesso, cioè del cuor suo ec. (non delle sue cose pubbliche come fa Cicerone), in latino. Questa lingua aveva già avuto un Cicerone, e un Seneca e un Tacito, eppure ancor non bastava a una certa filosofia veramente intima. La lingua greca aveva avuto scrittori filosofici profondi, ma senza ciò la sua pieghevolissima e liberissima indole si prestava a qualsivoglia genere di argomento, grado di filosofia ec., ancorché nuovo. La lingua latina per lo contrario: ed oltracciò quello era un tempo, dove, come accade dopo una decisa corruzione e licenza, che richiamandosi gl’istituti umani alla buona strada, essi cadono nell’eccesso contrario; la lingua latina e il gusto di quel tempo (come oggi in Italia) peccava di servilità, timidità (in vitium ducit culpae fuga), come si può vedere nelle opere di Frontone, e come dicevano i maestri di devozione,