(2167-2168-2169) |
pensieri |
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libertà di quella. Della quale libertà egli aveva bisogno in un’opera profondamente ed intimamente filosofica, e attenente alla scienza della vita e del cuore umano e alle sottili speculazioni psicologiche. Non dubito ch’egli non disperasse di potere riuscire (2168) a trattare un tale argomento in latino, a parlare a se stesso e di se stesso, cioè del cuor suo ec. (non delle sue cose pubbliche come fa Cicerone), in latino. Questa lingua aveva già avuto un Cicerone, e un Seneca e un Tacito, eppure ancor non bastava a una certa filosofia veramente intima. La lingua greca aveva avuto scrittori filosofici profondi, ma senza ciò la sua pieghevolissima e liberissima indole si prestava a qualsivoglia genere di argomento, grado di filosofia ec., ancorché nuovo. La lingua latina per lo contrario: ed oltracciò quello era un tempo, dove, come accade dopo una decisa corruzione e licenza, che richiamandosi gl’istituti umani alla buona strada, essi cadono nell’eccesso contrario; la lingua latina e il gusto di quel tempo (come oggi in Italia) peccava di servilità, timidità (in vitium ducit culpae fuga), come si può vedere nelle opere di Frontone, e come dicevano i maestri di devozione, (2169) che le anime recentemente convertite sogliono patire di scrupoli, e sarebbe anzi mal segno se non ne patissero. Questo durò poco, perché la lingua e letteratura colle cose latine tornò a precipitare indietro ben presto. Ma in quel tempo lo stile di Seneca e altri tali stili filosofici si condannavano altamente dai letteratori latini, come oggi dagli italiani quello di Cesarotti ec.; e ciò serviva d’impaccio e di spauracchio a chi volesse scrivere filosoficamente in latino, come oggi volendo scriver buon italiano, nessuno s’impaccia piú di pensare. Marcaurelio pertanto dové sentire questo pericolo, disperare di poter essere profondo filosofo nella lingua nativa voluta dal suo tempo e senza violare il gusto corrente e dar nel naso ai critici, i quali già lo riprendevano di cattiva e negligente lingua e