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[p. 247 modifica] medesima morte prodotta immediatamente dalle sventure è cosa piú viva, laddove quest’altra è piú sepolcrale, senz’azione, senza movimento, senza calore e quasi senza dolore, ma piuttosto con un’oppressione smisurata e un accoramento simile a quello che deriva dalla paura degli spettri nella fanciullezza o dal pensiero dell’inferno. Questa condizione dell’anima è l’effetto di somme sventure reali e di una grand’anima piena una volta d’immaginazione e poi spogliatane affatto, e anche di una vita cosí evidentemente nulla e monotona che renda sensibile e palpabile la vanità delle cose, perché senza ciò la gran varietà delle illusioni che la misericordiosa natura ci mette innanzi tuttogiorno impedisce questa fatale e sensibile evidenza. E perciò non ostante che questa condizione dell’anima sia ragionevolissima, anzi la sola ragionevole, con tutto ciò essendo contrarissima, anzi la piú dirittamente contraria alla natura, non si sa se non di pochi che l’abbiano provata, come del Tasso.


[p. 248 modifica]*   La parola è un’arte imparata dagli uomini. Lo prova la varietà delle lingue. Il gesto è cosa naturale e insegnata dalla natura. Un’arte: 1°) non può mai uguagliar la natura: 2°) per quanto sia familiare agli uomini, si danno certi momenti in cui questi non la sanno adoperare. Perciò negli accessi delle grandi passioni: 1°) come la forza della natura è straordinaria, quella della parola non arriva ad esprimerla: 2°) l’uomo è cosí occupato, che l’uso di un’arte, per quanto familiarissima,