Pensieri (Tarchetti)/Pensieri diversi
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PENSIERI DIVERSI.
Non tutte le ingratitudini che si commettono dagli uomini debbono imputarsi esclusivamente alla loro volontà. Occorrono molte circostanze nella vita, in cui la natura o la società ci costringono ad essere ingrati, e sono assai rari quei casi in cui noi possiamo emettere un giudizio sincero e coscienzioso sopra un atto d’ingratitudine; poichè è questa fra tutte le azioni dell’uomo quella che è mossa da cause più molteplici e più imperscrutabili.
Mi avviene talora di trovare una data, un nome o un pensiero, o inciso su corteccia di albero, o scritto su parete o su margine di libro, come troverei una croce o una lapide che mi additasse una solitaria sepoltura, ma con una commozione più dolce e più confortante.
La grandezza è solitaria. Si direbbe anzi che la solitudine è condizione della grandezza. Tutte le intelligenze superiori, tutte le nature superiori sono isolate — l’aquila vive sola, il leone solo.
La prudenza è la maschera dell’astuzia: — O nessuna delle due è virtù, o entrambe.
Comprendere la vanità e il ridicolo delle cose del mondo è somma sapienza; riderne è somma forza.
Strana cosa! Gli uomini piangono spesso del ridicolo.
La giustizia di sè è nell’istante, quella degli uomini nel tempo, quella di Dio nell’eternità.
I pensatori e i filosofi di tutte le epoche e di tutti i paesi parlano dei loro tempi, come di tempi eccezionalmente scellerati. È logico arguire che gli uomini siano stati scellerati in ogni tempo.
Diffidate degli uomini che non hanno passioni.
Confessare altrui i proprii difetti è assai meno doloroso che confessarli a sè stessi.
La malignità è cattiveria impotente.
Come gli uomini usano nell’età che precede o tocca la giovinezza, ed anche nell’età adulta, se rozzi, adoprare in ogni cosa la violenza, e farsi ragione da sè colla forza del braccio, ed ogni loro ambizione e coscienza di giustizia riporre nella maggiore o minore virtù di quello, così le nazioni giovani, o tralignate se adulte, costumano di fare; nè sanno altra cosa ambire che un esercito poderoso, nè d’altro curarsi che delle arti di guerra, nè in altro modo tutelare le leggi e la libertà che colla violenza e col sangue. L’una cosa l’infanzia degli uomini rivela, l’altra l’infanzia delle nazioni. Ma come quelli l’età e gli ammonimenti correggono, queste le tradizioni correggeranno ed il tempo; benchè l’esistenza dei primi sia breve e ci sia dato avvertirlo coll’esperienza, delle altre indefinita, nè possiamo dedurlo che dal senno nostro e dalle leggi immutabili dell’universale progresso.
L’abitudine è una seconda potenza di creazione inerente all’uomo. Negli animali, e nelle cose che pure la posseggono, è passiva; ma l’uomo solo la subisce e la dirige ad un tempo. Non vi ha natura sì salda che non possa venire da essa piegata; molte ve ne sono che ella abbatte, ricostruisce, trasforma. Onde vien detto che l’abitudine è una seconda natura; e io penso che in essa sia riposto uno dei mezzi più potenti della perfettibilità umana; e nella coscienza che abbiamo di lei, e della sua forza, e della facoltà di governarla, la maggiore responsabilità delle nostre opere e dei nostri divisamenti.
L’egoismo che sembra essere una forza speciale dissolvente, è invece una forza eminentemente socievole e conciliatrice. Tutti gli uomini sono egoisti, e non lo sono mai tanto che in ciò in cui sembrano esserlo di meno, nei loro affetti. Lo stesso amore, che è quella tra le passioni che li avvicina e li accomuna di più, e quella che apparisce più scevra di questo interessamento esclusivo di sè medesimi, non è che un egoismo più esigente e più raffinato. Egli è che le leggi della vita e della società sono costituite saviamente per modo che nessuno può giovare all’interesse proprio senza giovare a quello degli altri, e quanto è più attivo in ciò per sè stesso, altrettanto lo è per altrui — simile a quelle ruote d’un ordigno, ciascuna delle quali non può muoversi per sè sola, ma, una volta mossa, è d’uopo che trascini col suo ingranaggio tutte le altre e ne sia trascinata ad un tempo.
L’amore fino alla media età della vita è ascendente, da essa in poi discende. Si abbandona la famiglia nella quale si era nati, e se ne forma e se ne ama una nuova; si amavano i genitori, ora si amano i figli; si prediligono ai vecchi i fanciulli; e si cerca fuori della sfera delle nostre prime affezioni un elemento d’amore più vergine e più durevole. È perciò che la vecchiezza si accosta alla gioventù, e questa alla vecchiezza; e i giovani preferiscono in amore le donne adulte, e gli adulti amano di preferenza le giovani; e tutte queste forze dell’amore si completano a vicenda, dando o ricevendo, secondo che vi è di esuberanza o difetto. Ma ciò che v’è di crudele in questa legge è quell’abbandono e quell’apatia a cui la natura ha condannato la vecchiaja. Difficilmente l’amore dei figli perdura fino alla vecchiezza dei genitori, e avviene quasi sempre che questo affievolirsi dell’affetto, o le esigenze d’interessi materiali, o le cure di una nuova famiglia li separino in quegli anni sì bisognosi di conforti e di amore. Triste destino di quell’età infelice della vita che l’egoismo crescente dell’epoca mostra di peggiorare ogni giorno, e cui la civiltà (o ciò che noi vogliamo indicare con questa parola) non ha ancora trovato mezzo di rimediare.