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LXXVIII.

Due o piú persone in un luogo pubblico o in un’adunanza qualsivoglia, che stieno ridendo tra loro in modo osservabile, né sappiano gli altri di che, generano in tutti i presenti tale [p. 47 modifica]apprensione, che ogni discorso tra questi divien serio, molti ammutoliscono, alcuni si partono, i piú intrepidi si accostano a quelli che ridono, procurando di essere accettati a ridere in compagnia loro. Come se si udissero scoppi di artiglierie vicine, dove fossero genti al buio: tutti n’andrebbero in iscompiglio, non sapendo a chi possano toccare i colpi in caso che l’artiglieria fosse carica a palla. Il ridere concilia stima e rispetto anche dagl’ignoti, tira a sé l’attenzione di tutti i circostanti, e dá fra questi una sorte di superioritá. E se, come accade, tu ti ritrovassi in qualche luogo alle volte o non curato, o trattato con alterigia o scortesemente, tu non hai a far altro che scegliere tra i presenti uno che ti paia a proposito, e con quello ridere franco e aperto e con perseveranza, mostrando piú che puoi che il riso ti venga dal cuore: e se forse vi sono alcuni che ti deridano, ridere con voce piú chiara e con piú costanza che i derisori. Tu devi essere assai sfortunato se, avvedutisi del tuo ridere, i piú orgogliosi e i piú petulanti della compagnia, e quelli che piú torcevano da te il viso, fatta brevissima resistenza, o non si danno alla fuga, o non vengono spontanei a chieder pace, ricercando la tua favella, e forse profferendotisi per amici. Grande tra gli uomini e di gran terrore è la potenza del riso: contro il quale nessuno nella sua coscienza trova sé munito da ogni parte. Chi ha coraggio di ridere, è padrone del mondo, poco altrimenti di chi è preparato a morire.